Iraq: al voto per trasformare speranze in partecipazione concreta. Card. Sako “andare a votare per il cambiamento”
Il prossimo 11 novembre 2025, l’Iraq è chiamato a rinnovare il proprio parlamento: una scadenza elettorale delicata in un paese segnato da profonde divisioni interne e da un teso quadro geopolitico regionale. In lizza oltre 7.700 candidati – di cui circa 2.200 donne – per uno dei 329 seggi disponibili. La Chiesa cattolica caldea chiede ai propri fedeli una partecipazione consapevole e li invita a scegliere candidati che incarnino onestà, indipendenza, impegno per il bene comune, senza subordinarsi a milizie armate o a giochi di potere.
“L’obiettivo di libere elezioni democratiche è quello di raggiungere la giustizia, l’uguaglianza, la dignità, la libertà e l’abbondanza di vita per i cittadini. Le elezioni sono una responsabilità nazionale e morale necessarie per lavorare diligentemente e dare al Paese il giusto cambiamento fatto di stabilità e sovranità. Ma fino a quando le elezioni non saranno eque e chiare rimarremo fermi e senza nessun cambiamento”: nell’imminenza del voto per il nuovo Parlamento iracheno fissato per l’11 novembre, a sottolineare l’importanza del momento è il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako.
Banco di prova. Un vero e proprio banco di prova per il Paese, per la sua tenuta istituzionale e per la sua capacità di lasciarsi alle spalle le tensioni settarie. Pesano, inoltre, l’economia ancora debole, l’elevata corruzione, una disaffezione popolare verso le classi politiche dirigenti, il rapporto con il Governo Regionale Curdo, le interferenze iraniane, la lotta al terrorismo e il ruolo delle milizie. Non meno pesanti sono le pressioni regionali spinte dall’attivismo militare israeliano, dopo il 7 ottobre 2023. la guerra a Gaza, il conflitto con l’Iran e con Hezbollah in Libano, disegnano un panorama sempre più imprevedibile con possibili ripercussioni per gli equilibri dell’area. In questo contesto il Primo ministro, Mohammed Shia al-Sudani, è alla ricerca di un secondo mandato dopo la sua elezione nel 2022 avvenuta grazie a una coalizione di partiti sciiti, alcuni dei quali filo-iraniani (Quadro di Coordinamento Sciita). Ma le accuse di corruzione rivolte ad esponenti della sua stessa coalizione e la denuncia di abusi nel procacciamento dei voti da parte delle milizie sciite delle Forze di Mobilitazione Popolare mettono in seria discussione la sua guida nel nuovo Governo. Da capire, poi, come si muoveranno i movimenti di protesta, che hanno caratterizzato il paese negli ultimi anni, fautori di richieste di riforme e di miglioramenti nella società civile.
Rischio astensione. Secondo stime che circolano nel Paese sarebbero ben 9 milioni gli iracheni che avrebbero deciso di non andare a votare. Nel 2021 votò circa il 41 % degli aventi diritto, l’affluenza più bassa nella storia post-2003. Una nuova, alta, astensione rischierebbe di togliere legittimità al nuovo Parlamento, con conseguenze sul piano della stabilità politica interna e regionale. Il consenso intorno all’agenda delle riforme, promosse dal premier – lotta alla corruzione, miglioramento dei servizi pubblici, diversificazione economica – è ampio ma la fiducia degli iracheni che il cambiamento possa arrivare è ancora incerta.
La voce della Chiesa. “Il cambiamento cui gli iracheni aspirano – ricorda il patriarca caldeo in un messaggio diffuso il 31 ottobre – è che il prossimo parlamento sia responsabile e consapevole dell’interesse nazionale e di essere al servizio dei cittadini, e per questo non sia preda di conflitti settari e regionali. È difficile pensare ad elezioni chiare quando l’Iraq ha sofferto per due decenni a causa della corruzione, delle quote settarie e delle milizie armate fuori controllo dello Stato”. Parole che ribadiscono concetti già espressi dallo stesso cardinale ad inizio ottobre quando, in un messaggio analogo, esortava tutti gli iracheni, e i cristiani in particolare, ad
“andare a votare in modo massiccio e scegliere coloro che ritengono più adatti a servire il popolo senza discriminazioni, candidati capaci, integri ed onesti, rispettosi del pluralismo, della diversità delle religioni e delle nazionalità che caratterizzano l’Iraq, e che credono nella sua sovranità, rinascita e stabilità”.
Parole chiare che suonano come una netta condanna di quei “candidati corrotti, dei gruppi armati che controllano le risorse e le città cristiane nella Piana di Ninive. Non accetteremo che la componente cristiana diventi ‘carburante’ per questi estranei”. Non solo. Mar Sako stigmatizza il fatto che “per più di 15 anni, il governo iracheno non è riuscito a proteggere i diritti delle minoranze e ad adottare misure vincolanti per garantire loro giustizia e preservare la loro rappresentanza e il loro ruolo”. Un modo chiaro per sollecitare, da parte della Chiesa locale, una riforma del sistema elettorale affinché i seggi riservati ai cristiani siano effettivamente scelti da elettori cristiani e rappresentino autenticamente la comunità cristiana.
“Per questo – aggiunge – i cristiani non si arrenderanno e si impegneranno a fondo per ottenere il diritto costituzionale che garantisce il loro futuro e consolida la loro sopravvivenza. La Chiesa caldea non si vende e non cede all’ingiustizia, e la sua lealtà all’Iraq e il suo amore per gli iracheni rimangono illimitati”.