Secondo l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, delle 154 morti per malnutrizione avvenute nella Striscia di Gaza dall’ottobre 2023, 63 si sono verificate nel solo luglio 2025. Secondo un report dell’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (l’Ocha), inoltre, il mese scorso il 24 per cento delle famiglie gazawe ha vissuto in condizioni di fame acuta.
Spinto dalle pressioni internazionali, domenica 27 luglio il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato una “pausa tattica” per permettere l’entrata di camion di aiuti e nei giorni successivi missioni emiratine, giordane e di vari Paesi europei sono state autorizzate a paracadutare pacchi alimentari nella Striscia. Quest’ultima modalità però viene fortemente criticata dalle organizzazioni umanitarie per il pericolo che rappresenta per i civili, i quali rischiano la vita per accorrere disordinatamente per accaparrarsi qualche razione di cibo in atterraggio, e per i costi molto più elevati che richiede rispetto all’ingresso di camion, i quali continuano a essere in larga parte bloccati da Israele.
Secondo il Cogat, l’Agenzia del ministero della Difesa israeliano che supervisiona la distribuzione di aiuti nella Striscia, nella prima settimana dall’istituzione dei “corridoi umanitari” annunciati da Netanyahu sono entrati nell’enclave 1.200 camion. Durante il cessate il fuoco in vigore da gennaio a marzo di quest’anno, però, l’Onu garantiva l’entrata di 500-600 camion al giorno per soddisfare le esigenze della popolazione.
La carestia in corso a Gaza è precipitata dopo mesi in cui l’esercito israeliano ha bloccato o contingentato l’ingresso di aiuti umanitari nell’enclave. Dopo la fine del cessate il fuoco, a marzo e aprile 2025 è rimasto in vigore un blocco totale, mentre a maggio nella Striscia è entrato solo il 32 per cento della quantità necessaria di alimenti per soddisfare i bisogni basilari della popolazione e a giugno e luglio solo il 60 per cento, secondo i calcoli basati sui dati del Cogat e riportati dalla testata inglese Guardian.
In questo contesto, dal 27 maggio ha iniziato a operare nella distribuzione di aiuti la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf): si tratta di un controverso ente privato, supportato da Stati Uniti e Israele, finito al centro di uno scandalo dopo che a fine giugno il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un’inchiesta in cui soldati dell’Idf, le Forze di difesa israeliane, raccontavano di ricevere ordini di sparare sui civili in fila per gli aiuti. Secondo un comunicato stampa dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani aggiornato al 31 luglio, dal 27 maggio, 1.373 palestinesi sono stati uccisi mentre erano alla ricerca di cibo e 859 di essi hanno perso la vita nei pressi dei siti di distribuzione della Ghf. Mentre questi orrori si consumano, non solo la diplomazia è ferma al palo, ma addirittura c’è il rischio di un ulteriore peggioramento della situazione sul campo. Il 4 agosto su vari media israeliani è trapelata la notizia secondo cui Netanyahu starebbe facendo pressioni per ordinare l’occupazione totale della Striscia, il che implicherebbe combattimenti su larga scala su tutto il territorio. Lo stesso giorno, mentre manifestanti e famiglie degli ostaggi protestavano fuori dal suo ufficio a Gerusalemme, il primo ministro israeliano ha annunciato una riunione del gabinetto di guerra da svolgersi martedì 5 agosto, ribadendo la volontà di non fermare gli attacchi contro Gaza fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi.
«L’Ue respinge qualsiasi tentativo di modificare la situazione demografica e territoriale a Gaza, anche in relazione all’occupazione israeliana». A riferirlo è la portavoce per gli Affari esteri della Commissione europea Anitta Hipper.