Idee
Un Continente che vive una vera e propria metamorfosi, una “mutazione genetica” del contesto sociopolitico. È l’America Latina, al termine di un anno che ha visto primeggiare la destra, e spesso la destra di matrice “trumpiana”, in occasione dei principali appuntamenti elettorali: dal recentissimo Cile, con la vittoria di Juan Antonio Kast, “nostalgico” di Pinochet, all’Argentina, dove il presidente Javier Milei ha vinto le elezioni di metà mandato; per proseguire con la Bolivia, l’Ecuador, l’Honduras. Dietro l’angolo, il 2026, anno di importanti elezioni presidenziali: Perù, Colombia e, a fine anno, il Brasile. Sono passati solo tre anni, da quando la sinistra era al potere, stando al Sudamerica, in tutti i principali Paesi.
“Se la tendenza attuale sarà confermata il prossimo anno – riflette al Sir Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia e punto di riferimento della Comunità Sant’Egidio per l’America Latina – ci troveremo davanti a una quasi ininterrotta ‘macchia grigia’ de non vogliamo definirla ‘nera’”.
Professore, l’ultimo caso è la vittoria di Kast in Cile. In America Latina, la destra vince ovunque?
Partendo dal Cile, credo che ci sia poco da dire. Al ballottaggio le forze di centrodestra si sono unite, presentando ricette in linea con il pensiero della destra nel resto del continente. Ma la riflessione che io faccio è un’altra…
Ci spieghi, qui siamo di fronte a una tendenza generale.
A me fa impressione il fatto che ci troviamo dentro a una metamorfosi del contesto sociopolitico, sta nascendo una “diversa America Latina”, che va interpretata con nuove chiavi di lettura.
Merito di Trump?
Il discorso è più complesso, ma certamente un elemento fondamentale è proprio il fatto che, con l’Amministrazione Trump, l’America Latina torna centrale. L’idea è di ristabilire un’egemonia forte, dopo il disimpegno delle Amministrazioni Obama e Biden. Si parla apertamente del ritorno della “dottrina Monroe”. Di fatto, Miami è la “capitale” di questo corso politico, il cui politico chiave è il sottosegretario Marco Rubio, esule cubano. Lui è il “cervello” di questa operazione, che punta a cancellare l’izquierda, la sinistra dal continente. Un altro aspetto, è la volontà di contrastare la Cina, negli ultimi anni sempre più presente, soprattutto in Cile e in Perù.
Lei, però accennava anche a una mutazione genetica, interna. Di cosa di tratta?
La cosa più evidente è che non esiste più l’anti-americanismo, inteso come ostilità verso i “gringos”, gli statunitensi. Oggi, in America Latina, tutti guardano al nord, tutti sperano di andare a vivere negli States, visti come il luogo del benessere. La conseguenza, è la crisi dell’ideale ‘boliviariano’, che ha affascinato generazioni di latinoamericani negli ultimi cinquant’anni, la tensione verso un subcontinente unito, libero da influenze straniere. Oggi, nessun leader della destra latinoamericana fa riferimento a questa idea, tutti guardano a Washington.
La sinistra, in questo scenario, è spiazzata?
Da un lato, appare quasi “giurassica”, con leader ancora in scena dopo vent’anni. Dall’altro, proprio chi si era affermato come grande novità, il giovane presidente del Cile Gabriel Boric, emerso come leader dalla protesta popolare, ha deluso le attese, non ha centrato i suoi obiettivi.
Eppure le grandi problematiche e le esigenze di cambiamento non mancano…
La realtà dell’America Latina è ancora più drammatica di trent’anni fa. I “mostri” di sempre, come narcotraffico, criminalità, corruzione, sono sempre più forti. La popolazione di sta deculturalizzando, con tassi di abbandono scolastico molto più forte. E pensiamo a quello scandaloso “buco nero” che è Haiti, un Paese in mano alle bande criminali.
Per non parlare del rischio di una guerra, se Trump interverrà militarmente contro il Venezuela di Maduro.
Personalmente, non penso che Trump corra il rischio di un’invasione a meno di un anno dalle elezioni di medio termine, anche se, certamente, non può che essere interessato al Paese che ha le riserve petrolifere più grandi del mondo. Ma una “spallata” sarebbe molto rischiosa. Paradossalmente, Maduro, pur molto osteggiato, gode di un “relativo consenso” in fasce della popolazione che beneficiano della vicinanza con il regime. Credo che l’unica via sia quella negoziale.
Una situazione sociale e politica così complessa in che modo chiama in causa la Chiesa?
Questo ritorno della destra è anche il ritorno di una certa dimensione religiosa, di una sorta di alleanza tra “croce” e “spada”, che ha, però, come protagonista, il mondo neo-evangelico, a volte alcune sette. La voce della Chiesa sembra fioca… Eppure, in questi decenni proprio la voce della Chiesa continentale, attraverso il Celam, è stata molto significativa, e c’è l’urgenza che continui a esserlo. Difficile pensare a una Chiesa che resti dentro in confini nazionali.
In cosa sperare?
Papa Francesco, proprio nella prospettiva di un nuovo impegno sociale e politico, aveva scommesso sui movimenti popolari, con quattro discorsi importantissimi. A quelle parole si è aggiunto il quinto discorso, quello di Papa Leone, per certi aspetti ancora più “rivoluzionario”. Ma bisogna crederci, questa prospettiva dev’essere abbracciata.