Il motto dei certosini è questo: sta la Croce di Cristo mentre il mondo vorticosamente gira. Mi è tornato in mente vedendo le immagini della Croce alta due metri sulla parrocchia di Gaza, colpita ma non abbattuta. Non è caduta nonostante la violenza dell’attacco. Sono caduti invece alcuni parrocchiani che cercavano rifugio insieme ai profughi proprio all’ombra di quella croce che oggi resta lì come giudizio sull’intera umanità, su chi gira la faccia dall’altra parte rispetto a questo terribile conflitto, su chi cerca di giustificarsi parlando di errore umano, di bersaglio sbagliato. Il cardinale Parolin ha parlato di un legittimo dubbio su quanto accaduto nonostante la corsa alle scuse e gli appelli a smettere subito questo gioco al massacro. Ma qui non si tratta di errore, si tratta di una grave colpa che sta alla base di tutto: è quella legata al farsi guerra, ad alzare ancora una volta la mano contro il proprio fratello con quella cainità che è sempre presente nel cuore dell’uomo.
Quella croce è diventata simbolo potente di speranza, di resistenza e di fede in mezzo alla distruzione e ad una carestia in atto, provocata dall’egoismo dell’uomo, che è come un macigno che richiama ciascuno alle proprie responsabilità. È questo il compito dei cristiani in Terra Santa e anche in mezzo ai popoli in guerra, silenzioso giudizio l’amore nonostante tutto e tutti, silenzioso monito che interpella e che non si lascia intimidire.
I cristiani e i profughi avevano trovato in quella chiesa un’oasi nell’orrore della guerra, della pazzia umana. I rumorosi cingoli dei thanks e delle ruspe che avanzano per cancellare tutto sono ormai il sottofondo di una musica infernale. Solo alzando lo sguardo a quella Croce, nell’azzurro cielo, parla ancora di una Pace che sembra impossibile ritrovare e costruire.
Quella croce colpita, annerita richiama ciascuno di noi a non voltare la faccia, a non anestetizzare il dolore, a non spegnere la coscienza di fronte a questo massacro, come ad ogni altro massacro in un tempo, come ha detto papa Leone nel quale “è desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare” ed ha ceduto il passo al solo diritto “di obbligare gli altri con la forza”. La Croce è esattamente l’annuncio del contrario: su di essa la forza divina si lascia inchiodare per diventare debolezza d’amore che vince. Nonostante tutto la croce resta lì, nel buio del cuore, come una stella che brilla nella notte ha detto il parroco di Gaza, don Romanelli.