Storie
La Corea del Sud oggi è una delle grandi potenze economiche dell’Asia, patria di industrie tecnologiche, di cinema e musica capaci di conquistare il mondo intero. Ma è anche un luogo dove il cristianesimo ha trovato terreno fertile. Dove, insomma, “l’inculturazione” – così la definiscono gli esperti di teologia pastorale e missionarietà – è diventata un caso di scuola.
Incontriamo padre Giancarlo Faldani, 83enne frate conventuale originario di Cittadella, nel refettorietto della basilica del Santo, mentre conversa di fronte a un caffè con gli altri frati. Sebbene sia cresciuto nel seminario di Camposampiero con alcuni di loro, padre Faldani qui non è residente, ma un ospite di passaggio. Da più di mezzo secolo, infatti, ha come casa Seul. Qui è tornato al termine delle sue ferie biennali. «Quando sono arrivato nel 1969 i cattolici erano 800 mila. Oggi sono più di cinque milioni, circa l’11 per cento della popolazione – racconta – Quando arrivai, forse era in una situazione peggiore di molte povere Nazioni dell’Africa. Non c’era niente, la guerra era finita da poco, pochissima industria. Non avrei mai pensato che in cinquant’anni arrivasse a questo livello. Un progresso enorme».
Accanto allo sviluppo materiale, la Chiesa cattolica ha conosciuto una crescita straordinaria. «Specialmente sotto la dittatura la gente cercava un po’ di sicurezza, di conforto, e anche la fede diventava rifugio. Quando è venuto san Giovanni Paolo II c’è stata una spinta enorme per le conversioni. Nella società la Chiesa cattolica è ben riconosciuta e stimata. Se le dittature sono cadute, molto è stato merito della Chiesa, dei sacerdoti che parlavano. C’è un’associazione di sacerdoti per la giustizia e la pace che è molto forte».
Padre Giancarlo aggiunge un dettaglio che lo ha sempre colpito: «In tutti questi anni non ho mai incontrato un coreano che si professasse ateo. I cittadini sono sempre ben disposti verso la religione, anche se non la professano. Questa ricerca continua di spiritualità e di senso nella vita ha portato negli anni molte conversioni».
«Sono nato a Cittadella nel 1942, il 5 gennaio. Alla fine delle elementari sono andato a Camposampiero per le medie, con il desiderio di diventare missionario, perché avevo uno zio, fratello di mio papà, che era missionario in Cina». Qui padre Giancarlo si riferisce allo zio, padre Francesco Faldani, la cui memoria resta ancora vivissima. Ordinato sacerdote nel 1967, padre Giancarlo trascorre i primi mesi all’Arcella e al Santo: «Appena ordinato ho chiesto al provinciale di andare missionario. Mi preparavo per l’Argentina, ma mio zio Francesco – che aveva aperto la missione in Corea nel 1958 dopo la cacciata dalla Cina – disse al provinciale: “Io non ti chiedo altro, ma almeno un mio nipote mandamelo di là”. Così nel 1969 sono stato mandato in Corea e da allora sono sempre stato lì, meno un anno nelle Filippine».
I primi due anni li spende a imparare la lingua, con fatica. «Il coreano è molto diverso dalla nostra lingua ed è molto più difficile. Ci sono voluti due anni di scuola a tempo pieno». Poi comincia il ministero: «Sono stato viceparroco a Taegu, poi parroco a Pusan, dove vicino alla chiesa c’era un lebbrosario e tra i miei compiti c’era assistere i malati. Dopo sono passato a Incheon e a Daegu. Non mi sono mai occupato della formazione dei seminaristi: tutta la mia attività è stata sempre in parrocchia, o come parroco o come assistente».
Gli anni Settanta e Ottanta non furono semplici. «Quando ero a Pusan la polizia veniva a registrare le prediche per vedere se dicevo qualcosa sulla libertà. Eravamo molto controllati. Oggi non avviene nulla di tutto questo». In quel tempo la fede cresceva più forte della paura: «Era il periodo della dittatura, i coreani si sentivano poco sicuri e ricercavano, anche nel conforto della religione, un po’ di speranza. La Chiesa ha rappresentato un faro».
La crescita economica del Paese passava per i sacrifici della gente comune. «Negli anni Settanta gli operai stavano in fabbrica dodici ore al giorno, sei giorni alla settimana. Una volta al mese lavoravano anche la domenica per contribuire allo sviluppo. La Corea è cresciuta anche sulle spalle dei poveri di quel tempo». Ma anche nei momenti di miseria non mancava la sete di istruzione: «Anche se erano poverissimi, tutti andavano a scuola. La popolazione ha fatto passi avanti perché voleva imparare».
Nel Duemila la sua vita cambia ancora: «Gli stranieri hanno molta difficoltà a seguire le liturgie in coreano. Così ogni domenica celebravamo messe in cinque lingue: francese, inglese, tedesco, spagnolo e italiano. L’inglese era la principale, con due celebrazioni la domenica. Per 25 anni ho fatto questo lavoro». Nel 2023 ha deciso di passare il testimone: «Ho detto al provinciale: “È arrivato il momento che i coreani inizino a prendere questa parrocchia”. Io li sto aiutando e introducendo, perché è una comunità diversa da quelle coreane. Gli stranieri sono sparsi in tutta la Diocesi, e le attività si concentrano nel fine settimana».
Oggi la Chiesa coreana affronta nuove sfide, del tutto equiparabili a quelle in Occidente. «Una volta avevamo moltissime vocazioni, adesso non più. Oggi siamo circa 65 frati ma da anni non abbiamo nessun novizio. Abbiamo un diacono che sarà ordinato prete, un seminarista in servizio militare e forse due giovani in arrivo. Ma non è più come una volta».
Anche la società lo sorprende. «I primi anni mi sembrava di essere sulla Luna: con l’Italia comunicavo solo con lettere che arrivavano dopo un mese. Adesso con internet sento i miei parenti quasi ogni giorno». La Corea che un tempo non lasciava viaggiare i suoi cittadini ora è protagonista della globalizzazione. «Negli anni Settanta i coreani non potevano uscire dal Paese. Adesso invece si muovono moltissimo. La società si è aperta ed è molto libera». E la cultura coreana ha conquistato il mondo: «Se me l’avessero detto in passato non ci avrei creduto. Dietro ci sono grandi aziende che sostengono cinema e musica, ma resta un progresso enorme».
Segni forti hanno rafforzato la fede del popolo. «Quando papa Francesco è venuto nel 2014 è stata un’esperienza enorme. Le folle erano oceaniche, e il papa ha lasciato un segno con la beatificazione dei martiri e con il dialogo coi genitori dei ragazzi morti nel naufragio del traghetto. È rimasto nell’immaginario comune». E il futuro porta con sé un appuntamento globale: «Nel 2027 ci sarà la Giornata mondiale della gioventù a Seul: un avvenimento straordinario con giovani da tutto il mondo che darà forza alla Chiesa in Corea».
Padre Giancarlo guarda al futuro della sua Chiesa coreana con speranza: «È molto attiva e ben organizzata. Forse le presenze alla domenica cominciano a diminuire un po’, ma è impiantata bene. Penso che andrà avanti. Poi, sai, tutto dipende dal Signore che la guidi per bene».
Padre Giancarlo Faldani arrivò in Corea del Sud nel 1969, inviato nella missione aperta dallo zio Francesco. «Quando arrivai il Paese era poverissimo. Non avrei mai pensato che in 50 anni arrivasse a questo livello. Anche la Chiesa ha conosciuto un boom straordinario: da 800 mila cattolici a oltre cinque milioni».
Oggi, a più di ottant’anni, accompagna la parrocchia internazionale di Seul, guidata ora da un confratello coreano.
Anche le congregazioni femminili soffrono la graduale perdita di vocazioni: «Gli ordini di suore sono contenti se riescono ad avere un’aspirante o due all’anno, mentre una volta erano abituati ad averne trenta».