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Rubriche | Lettera 35 - Cronache da un'economia umana

lunedì 6 Agosto 2018

La galassia della “economia dei lavoretti” nel dossier Acli

Riders, Drivers, Gig economy e sharing economy ma anche servizi on demand e professionisti freelance. Il lavoro è cambiato, scopriamo come.

Gianluca Salmaso

Amazon è stata multata di 300 mila euro dall’Agcom, l’agenzia italiana per le comunicazioni. Motivo della sanzione: il colosso dell’e-commerce gestisce un servizio postale non autorizzato.

Sembra passata un’era geologica da quando il droghiere sotto casa incaricava il garzone di turno di consegnare alle massaie del quartiere la spesa del giorno. Quel ragazzino con la bicicletta carica di sporte che correva da una parte all’altra del rione, non sapeva di essere un precursore: oggi si chiamerebbe rider e invece che dal droghiere — casoin, da questo lato del Brenta — dipenderebbe da un’anonima app sullo smartphone.

In economia spesso e volentieri non si inventa nulla, al massimo se ne persegue l’efficienza.

In un mondo in costante evoluzione in cui si assommano nuovi e più ridondanti inglesismi per definire ogni cosa, l’ultimo rapporto delle Acli tenta di mettere un po’ d’ordine.

«L’economia digitale occupa in Italia tra 700 e 1 milione di persone e solo il 10% di questi sono rider impegnati per le piattaforme di delivery food — scrivono le Acli a pagina 8 del report —  Secondo i dati forniti dalla Fondazione, il 45% dei lavoratori digitali si dichiara soddisfatto o molto soddisfatto di questo lavoro ma solo per 150 mila di loro si tratta dell’unico lavoro svolto. Nel 50% dei casi questi lavoratori sono contrattualizzati con collaborazione occasionale a ritenuta d’acconto e, complessivamente, il guadagno medio è di 839 euro per chi lo fa come lavoro principale e di 343 euro per tutti gli altri. Infine, le donne con livelli di studio elevati che svolgono lavoretti sono circa il 50% e il 3% del campione è rappresentato da immigrati».

Riders: fenomeno complesso ma di portata limitata. Sono soprattutto giovani e studenti a ricorrere ai lavoretti per integrare il proprio salario.

Il dibattito attorno alla figura dei riders divampa ormai da mesi tra fughe in avanti con le varie carte dei diritti su base locale e la sentenza in controtendenza del tribunale di Torino che ne disconosce l’equiparazione ai lavori tradizionali.

La libertà del fattorino di scegliersi turni e orari ha un valore ma ha anche un prezzo, perché non lo mette sullo stesso piano del lavoratore subordinato che deve uniformarsi alle esigenze dell’impresa.

La sfida è quella di trovare risposte adeguate a problemi nuovi sfruttando strumenti legislativi spesso ereditati dagli anni ’70 del secolo scorso. Perché possiamo chiamare il garzone in bicicletta food rider o ciclofattorino, ma se gli strumenti normativi e sociali non si adeguano in fretta i problemi e le contraddizioni sono destinati ad esacerbarsi. 

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