“Perché quando si tratta della sicurezza online dei nostri figli l’Europa pensa ai genitori, non al profitto”. La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen aveva definito la questione “minori e digitale” una priorità assoluta nel discorso sullo stato dell’Unione europea tenuto lo scorso settembre. Aveva chiesto regole comuni per limitare l’uso dei social media da parte dei minori perché troppo spesso sfruttati “a scopo di lucro e dannosamente assuefacenti”. Altri esponenti politici europei, confermando la denuncia, avevano sottolineato che grandi aziende tecnologiche stanno “raccogliendo dati dai minori” per accrescere le proprie strategie e i propri profitti.
La preoccupazione per quanto sta avvenendo nel rapporto tra l’uomo e la macchina digitale aveva portato l’Unione europea nel 2022 ad approvare il quadro normativo sulla governance online definito Dsa, Digital Services Act (Normativa sui servizi digitali). È un risultato importante per il Vecchio Continente che deve però fare i conti con quanto, spesso di segno contrario, sta avvenendo nel resto del mondo.
Nell’insieme di valutazioni, orientamenti e scelte per non “meccanizzare l’umano” ma per “umanizzare il mondo” come scrivono nel loro ultimo libro Mauro Magatti e Chiara Giaccardi preoccupa sempre più il “come” proteggere i piccoli dagli sfruttamenti del digitale. È noto infatti che gli algoritmi dei social media utilizzano a proprio vantaggio strategico ed economico le vulnerabilità proprie dei minori.
Una risposta a questa sottile aggressione è venuta nei giorni scorsi da 25 dei 27 Paesi europei riuniti in Danimarca con la “Dichiarazione dello Jutland”, un accordo sulla protezione dei bambini in cui manca un dato essenziale cioè la definizione della “maggiore età digitale”. Questo compito verrebbe lasciato ai singoli Stati con il rischio di creare una diversità di misure legislative della quale approfitterebbero le imprese tecnologiche.
Il percorso non è quindi concluso ma la volontà di vigilare e intervenire è chiara.
La “Dichiarazione dello Jutland” ripropone però un’altra domanda: chi ha la responsabilità di proteggere i minori online, i genitori o le piattaforme? L’industria tecnologica ha enormi risorse per espandere il proprio potere mentre i genitori rischiano sempre più di sentirsi impotenti, impreparati, lasciati soli di fronte a una sfida educativa che chiama in campo l’intera società.
Non è sufficiente invitare madri e padri a non rassegnarsi, a non venire meno al loro compito educativo ma occorre dare loro strumenti adatti per educare i figli a un rapporto critico e positivo con il digitale. C’è anche la scuola ma la partita più importante si gioca in famiglia dove le relazioni si confrontano con le connessioni, dove i video si confrontano con i volti non per contrapporsi sterilmente ma per cooperare alla formazione di persone libere, persone che crescono, che tendono alla “maggior età digitale”.