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La politica agricola Ue chiede più sostenibilità
Sostenibilità: è la parola oggi più gettonata anche quando si parla di agricoltura, non solo di ambiente.
Sostenibilità: è la parola oggi più gettonata anche quando si parla di agricoltura, non solo di ambiente.
Il recente G20 agricolo si è chiuso con un documento, la “Carta della sostenibilità dei sistemi alimentari di Firenze”, che aggiunge un pezzo a un percorso segnato, anche se tra il disegnarlo e il perseguirlo ce ne vorrà. L’Unione europea cerca di farlo anche con la nuova Pac, la Politica agricola comunitaria, caposaldo della ruralità europea dell’ultimo mezzo secolo. La programmazione settennale doveva ripartire dal 2021 ma è in forte ritardo, tra Brexit e Covid: sono stati così autorizzati due anni di “transizione” – 2021 e 2022 – e si dovrebbe ripartire, salvo altre sorprese, con il 2023.
«Il pianeta non aspetta – ha rimarcato il ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli in chiusura dei lavori del G20 – Dobbiamo essere in grado di mettere in campo politiche che invertano la rotta in modo definitivo senza guardare al consenso e alle ricadute immediate. Tutto ciò che facciamo avrà effetto tra molti anni». Si riferiva tanto allo spreco di cibo – un miliardo di tonnellate buttate ogni anno – quanto alla sostenibilità dei sistemi agricoli e alimentari, obiettivo cui l’Europa punta anche facendo leva sull’innovazione, e con un occhio allo sfondo dato dalla lotta ai cambiamenti climatici che tanto pesano su chi basa l‘economia sui prodotti del suolo, siano esse micro imprese contadine a conduzione familiare o grandi industrie.
Tematiche simili si ritrovano naturalmente nell’impostazione della nuova Pac, su cui gli stati membri hanno trovato un accordo di massima tra riforma e continuità. Nove sono gli obiettivi: garantire un reddito agli agricoltori, aumentarne la competitività, riequilibrare il potere nella catena alimentare, agire contro i cambiamenti climatici, proteggere l’ambiente, preservare paesaggi e biodiversità, sostenere il cambiamento generazionale, mantenere aree rurali dinamiche, proteggere la qualità alimentare e sanitaria.
«Più che la Pac, cambia la governance», ha osservato Samuele Trestini del Gruppo di economia e politica agroalimentare del Tesaf (Università di Padova) spiegando le novità ai giornalisti agrombientali Argav e ai soci Wigwam. Rimarranno quindi sempre due i grandi “pilastri”, ovvero il sostegno diretto agli agricoltori e il Fondo di sviluppo rurale. L’ammontare dei contributi ai diretti interessati sarà però definito dai singoli stati: non saranno quindi stabiliti a priori da Bruxelles. I pagamenti verranno però inclusi in un unico Piano strategico nazionale e si avrà una riduzione significativa dei fondi per lo sviluppo rurale e del tasso di cofinanziamento Ue, compensato da risorse nazionali. Una scelta che mira a garantire il raggiungimento dei risultati di sostenibilità ambientali.
Il 25 per cento della dotazione dei pagamenti diretti sarà destinata – sulla carta, salvo deroghe – a incentivare pratiche agronomiche rispettose dell’ ambiente: la Commissione europea ne ha indicate, in un documento, una quarantina. In altre parole, il sostegno all’agricoltore sarà minore ma potrà essere aumentato in base alla sua adesione ad azioni chiamate “eco schemi”, cioè azioni volontarie messe da esso in campo a tutela del clima e dell’ambiente. È quindi un ribaltamento di ottica: non si indennizza un mancato guadagno ma si premia un’attività virtuosa.
Il 25 per cento dei pagamenti diretti agli agricoltori dovrebbe essere vincolato all’adozione di pratiche virtuose in tema ambientale, definite “eco schemi”. È un ribaltamento di ottica: non si indennizza un mancato guadagno ma si premia un’azione di utilità comune e sostenibile.