Skip to content
  • Edizione Digitale
  • Abbonati
logo
  • Ultimi Articoli
  • Sezioni
    • Chiesa
    • Idee
    • Fatti
    • Mosaico
    • Storie
  • Rubriche
  • Speciali
  • Mappe
  • EVENTI
  • Scrivici
  • Edizione Digitale
  • Abbonati
Area riservata

Mappe IconMappe | Mappe 23 - Consumo e produzioni responsabili - maggio 2024

martedì 21 Maggio 2024

La sostenibilità è anche sociale. Il riuso oltre le mode

Bottiglie riciclate al posto di piume d’oca. Il settore vestiario ha preso coscienza, ma c’è chi fa leva sui prezzi stracciati

Redazione
Redazione

Le espressioni “va di moda” o “non va più di moda” sono ormai entrate nel linguaggio comune anche con riferimento ai beni di consumo diversi dal settore dell’abbigliamento. Ma è proprio in quest’ultimo che si evidenzia la rapidità con cui si usa e getta un capo, tra una stagione e l’altra, contribuendo così a una produzione e un consumo non circolari, cioè senza un riutilizzo dello scarto e del vecchio. Tuttavia la tendenza degli ultimi anni è quella di una maggiore attenzione all’ambiente e alla sostenibilità, soprattutto nel settore dell’abbigliamento che è fortemente impattante, in particolare nelle fasi della produzione. «Ormai la strada è tracciata, tutte le case di moda si stanno riconvertendo, utilizzando anche le fibre dei vecchi vestiti per produrre i nuovi capi. Non solo, anche gli scarti di lavorazione vengono re-impiegati, per esempio facendone delle imbottiture. Ma restano numerosi problemi». A introdurre come si sta evolvendo la produzione in una filiera così importante per l’economia è Riccardo Capitanio, vicepresidente Federmoda Confcommercio nazionale, vicepresidente Ascom Padova e amministratore delegato di otto negozi di abbigliamento a Padova. «Quando parliamo di sostenibilità non ci riferiamo solo all’ambiente ma anche al sociale. Se un capo costa troppo poco, non solo è stato realizzato con materie prime di scarsa qualità, ma non ha impiegato manodopera retribuita adeguatamente o con livelli di tutela accettabili – puntualizza Capitanio, rilanciando la palla anche al consumatore che dovrebbe essere allertato quando i prezzi sono eccessivamente bassi – È sostenibile un capo che non solo è stato prodotto in modo ecologico ma che diventa poi smaltibile. Se si produce utilizzando acetilene, di sicuro non potremo riciclare nulla e purtroppo le due più importanti aziende che, a livello globale, commerciano abbigliamento a prezzi stracciati hanno addirittura la fabbrica di acetilene affianco talmente ampio è l’utilizzo che ne fanno». Sembra dunque evidenziarsi una contraddizione: da un lato un’attenzione maggiore verso l’ambiente, dall’altra una “risposta” di chi invece preferisce produrre a prezzi stracciati. Come se ne esce? «Ci sono diversi tipi di consumatori. In genere quelli più attenti all’ambiente sono i giovani mentre le altre generazioni guardano di più al capo in sé (e al prezzo) piuttosto che a come è stato prodotto – spiega Capitanio, agganciandosi alla questione delle etichette che devono evidenziare se e quanto green sono i vestiti – Se vengono adottati processi produttivi sostenibili (che per molti aspetti sono quasi obbligatori), i brand ci tengono a farli conoscere agli acquirenti: per esempio, si scrive sulle etichette come sono stati eseguiti i lavaggi che costituiscono una delle fasi più inquinanti della lavorazione. L’apposizione di appositi marchi è regolamentata da norme europee che sono particolarmente stringenti, soprattutto per quanto riguarda il riciclo e il riuso del rifiuto tessile. Anzi, proprio la pressione europea sta portando molte aziende a chiedere procedure più snelle».

Il tema delle etichette, in realtà, è complesso, perché si inserisce nelle dinamiche di mercato. Come sostiene l’imprenditore, infatti, negli ultimi anni si è consolidata una maggiore attenzione verso la sostenibilità da parte di fette sempre più ampie di mercato. Di questo ne sono consapevoli le aziende che ricorrono alla pratica del green washing, cioè la rincorsa a precisare che ciò che vendono (anche al di fuori della filiera della moda) è realizzato con pratiche sostenibili. La logica a cui risponde questa tendenza è la competitività: più sono “verde”, più clienti attraggo, più gli altri concorrenti si devono adeguare. Il rischio, tuttavia, è che a fronte di alcune buone misure adottate – come quelle che salvaguardano l’ambiente – ve ne siano altre che, per esempio, non tutelano i diritti dei lavoratori. La sostenibilità è infatti un concetto ampio che include, tra l’altro uso e riuso di risorse rinnovabili, innovazione tecnologica, riduzione della quantità di materie prime utilizzate, crescita di servizi a valore aggiunto nella produzione con spostamento di costi dalle materie prime al lavoro con conseguente crescita dell’occupazione a livello locale. «Un esempio in questa direzione è l’impiego di bottiglie riciclate al posto delle piume d’oca nelle imbottiture – conclude Federico Capitanio – La tecnologia si è evoluta e sta dando una grande mano al settore dell’abbigliamento ma resta ancora da lavorare. Un altro esempio a favore della circolarità è il ritiro di capi usati in cambio di buoni per l’acquisto di abiti nuovi. Per il momento quest’ultima iniziativa è sporadica, ci sono negozianti singoli che la stanno applicando, ma credo che tra non molto sarà un sistema comune a tutti i punti vendita. C’è però una questione: dovrebbe essere il produttore stesso a ritirare il capo usato ma servirebbero incentivi che, per il momento, non ci sono».

7 milioni di euro in Veneto per le imprese

Lo scorso 9 aprile la Giunta regionale del Veneto, su proposta dell’assessore all’Ambiente Gianpaolo Bottacin, ha approvato un bando da oltre 7 milioni di euro per sostenere, con contributi a fondo perduto, le micro, piccole e medie imprese che decidano di promuovere la transizione verso un’economia circolare ed efficace sotto il profilo delle risorse. Tra le varie tipologie di intervento ammissibili troviamo la reingegnerizzazione del prodotto e/o del packaging al fine di favorirne la durabilità, la riparabilità o le modalità di recupero; o la reingegnerizzazione del ciclo produttivo, anche in sinergia con diverse realtà produttive, che prevenga la produzione di rifiuti attraverso la creazione di una filiera di ulteriori sottoprodotti.

Si ricicla solo l’1 per cento degli abiti

Nel 2020 il Parlamento Europeo ha pubblicato alcuni dati sull’impatto della produzione e dei rifiuti tessili sull’ambiente: questo settore è la terza fonte di degrado delle risorse idriche e dell’uso del suolo e costituisce il 20 per cento dell’inquinamento globale dell’acqua potabile. Ogni anno vengono rilasciati mezzo milione di tonnellate di microfibre nei mari, la maggior parte delle quali durante i primi lavaggi. Solo l’1 per cento degli abiti usati vengono riciclati in capi nuovi. L’87 per cento vengono inceneriti o portati in discarica.

Ultimi articoli della categoria

Carceri sovraffollate: un problema italiano

martedì 12 Novembre 2024

Carceri sovraffollate: un problema italiano

Consumo di suolo. Un futuro grigio

martedì 12 Novembre 2024

Consumo di suolo. Un futuro grigio

Connessi con la realtà. Padova fa progressi nel digitale e nella cultura

martedì 12 Novembre 2024

Connessi con la realtà. Padova fa progressi nel digitale e nella cultura

Agenda 2030, quale futuro? Noi possiamo ancora agire

martedì 12 Novembre 2024

Agenda 2030, quale futuro? Noi possiamo ancora agire

Cambiamenti climatici e sociali. Uno sviluppo insostenibile

martedì 12 Novembre 2024

Cambiamenti climatici e sociali. Uno sviluppo insostenibile

Energia pulita. Rinnovabili, insistiamo

martedì 12 Novembre 2024

Energia pulita. Rinnovabili, insistiamo

Condividi su
Link copiato negli appunti
Logo La Difesa del Popolo
  • Chi siamo
  • Privacy
  • Amministrazione trasparente
  • Scrivici

La Difesa srl - P.iva 05125420280
La Difesa del Popolo percepisce i contributi pubblici all'editoria.
La Difesa del Popolo, tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici) ha aderito allo IAP (Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
La Difesa del Popolo è una testata registrata presso il Tribunale di Padova decreto del 15 giugno 1950 al n. 37 del registro periodici.