Chiesa
Si è aperta con le voci di tre “pellegrini di speranza” – oggi pomeriggio, 28 dicembre, in Cattedrale a Padova – la celebrazione eucaristica di chiusura del Giubileo ordinario 2025. Il vicario generale, don Giuliano Zatti, ha introdotto così le loro testimonianze: «Esprimiamo gratitudine al Signore per quanto di ordinario e di straordinario ci ha donato nel corso dell’anno giubilare, augurandoci non siano mancati i frutti che solo lui conosce. Alcuni frutti, tuttavia, proviamo a raccontarli: non tutti, non esclusivi, certo, ma frutti buoni. Per questo motivo iniziamo la celebrazione ascoltando le voci di Nicola Benvenuti (educatore di Conselve), Francesca Gambato (giovane del Torresino) e Sandra Zerbetto (volontaria al santuario delle Sette Chiese a Monselice): tre frammenti di Giubileo, tre piccolo storie. Tutti siamo un po’ disperati, ma la speranza è un’avventura: anche le testimonianze che ora ascoltiamo ci restituiscono la speranza».
Nicola, Francesca e Sandra hanno raccontato, partendo dalla propria esperienza, tutta la concretezza della speranza, filo rosso del Giubileo ordinario 2025. Nicola, che ha partecipato al Giubileo degli adolescenti in aprile e a quello dei giovani in agosto (in entrambi i casi anche come inviato de La Difesa del popolo) ha condiviso una sua convinzione: «La speranza giubilare continuerà a guidare il mio cammino nella quotidianità alla sequela di Cristo, magari accidentato, come quello di ogni donna e uomo, sentendo però il Signore sempre vicino, anche e soprattutto nei momenti difficili della vita, anche attraverso le persone che egli ci pone accanto, lungo la via della nostra esistenza». Francesca, che ha vissuto il Giubileo dei giovani, ha ricordato tre momenti particolari dell’esperienza. Tra questi la veglia a Tor Vergata: «Tor Vergata non è semplice da raccontare, solo a pensarci il cuore ancora aumenta il suo battito. Tutto il disagio e la fatica iniziali sono stati ripagati da quel grande silenzio che è sceso di fronte al Santissimo Sacramento. Non un silenzio svuotato, ma un silenzio abitato dalla Sua presenza, una presenza gentile, che entra teneramente nel cuore di ciascuno e lì ascolta il canto più sommesso e amoroso del proprio “Eccomi”». Sandra, infine, ha restituito ciò che ha vissuto come volontaria – insieme ad altri “colleghi” – al santuario delle Sette Chiese di Monselice: «A conclusione di questo anno speciale possiamo dire che abbiamo vissuto la grazia del Signore in ogni volto e in ogni dialogo dei pellegrini. Il santuario è e resta luogo privilegiato dove poter sentire Dio più vicino a noi e continuare ad ottenere la sua Grazia».
Alle loro voci si è unita, nell’omelia, quella del vescovo Claudio. «È stato bello per me partecipare direttamente al Giubileo degli adolescenti e dei giovani: ho visto il Signore toccare il cuore di tanti! L’ho percepito dai loro sorrisi rinnovati e dalle loro preghiere. Sono stati una bella testimonianza e vorrei ringraziarli a nome della nostra Chiesa. Per molti di loro prendere in considerazione che Dio c’è e che vuole loro bene personalmente, ha aperto uno squarcio di luce nel loro cielo, spesso buio».

Ha poi ricordato alcune esperienze giubilari vissute in Diocesi: «Vari ambienti e situazioni di vita hanno celebrato il giubileo insieme, spesso aiutati dagli uffici diocesani, dandosi appuntamento in varie sedie della nostra Diocesi. Penso agli ammalati e a chi si prende cura di loro professionalmente o in forza di legami familiari, penso anche al mondo variegato del volontariato sociale, a quanti si occupano di annunciare la pace ed hanno aderito al mese di preghiera invocando la nostra conversione perché si realizzi e ci sia pace a Gaza, in Ucraina e in tutti i paesi del mondo; penso alla giornata sul Creato, altro dono di Dio, vissuto a Villaverla… Sono solo alcuni esempi e ricordi del nostro pellegrinare perché il dono della speranza ci dia forza nell’impegno».
Don Claudio ha richiamato l’importanza, a conclusione dell’anno giubilare, «di fare tesoro di una esperienza che in realtà riguarda ogni anno, ogni giorno, ogni istante della vita: essere perdonati per perdonare, sentirsi amati per amare, percepirsi rappacificati per portare pace. In un tempo della storia che sembra segnato da nubi oscure, e dominato da pochi uomini potenti e prepotenti che umiliano interi popoli; in un tempo in cui le ideologie indeboliscono la gioia del vivere e la vita stessa di giovani, di donne, di bambini, di anziani ed ammalati; in un tempo in cui regnano logiche finanziarie che penalizzano i poveri, in cui dilagano le guerre e non c’è margine allo sfruttamento della madre terra e dell’ambiente».
L’anno del Giubileo ci riporta alla speranza di vedere oltre le nubi, il sereno
E ancora: «La Parola di Dio ci rassicura e ci dona forza per riprendere con rinnovata fiducia il cammino del nostro esistere: la speranza vive in Giuseppe al quale è apparso un angelo in sogno; Giuseppe fa esperienza dell’intervento di Dio proprio perché in ascolto. L’ascolto gli permette di guardare con amore al futuro del Bambino e della Madre e per il loro bene va in Egitto. L’amore si trasforma in fiducia nel futuro e la speranza nelle cose che non si vedono mette in cammino. È una bella icona del nostro Giubileo: Giuseppe prende con sé il Bambino e sua Madre, obbedendo al Signore e tracciando un segno della realizzazione delle Scritture. Giubileo è proprio questo: accogliere e obbedire all’Angelo del Signore, alla sua Parola e prendere con sé il Bambino e sua Madre».

La speranza, per mons. Cipolla «è un dono prezioso consegnato agli uomini e alle donne di tutti i tempi; si accompagna alla pace, alla giustizia, all’amore. È un dono consegnato nelle mani di ogni persona. La speranza non è solo sentimento è di più: deve prendere corpo cioè diventare ricerca, esperienza concreta e storica, progetto di vita; deve andare in Egitto, luogo di schiavitù e di rifugio. Soltanto se cercata e alimentata ogni giorno la speranza resta viva e dona vita alla pace, alla giustizia, all’amore. Come Dio è diventato tempo e corpo, così i doni che Dio ha condiviso con gli uomini attraverso la sua Incarnazione, la sua Pasqua e con l’intera vita di Gesù, esistono nella misura in cui diventano storie umane, corpi di uomini e donne».
Il dono della speranza diventa anima della nostra vita perché è cammino, viaggio!
Il vescovo Claudio ha concluso l’omelia con un auspicio: «Le nostre mani possano assomigliare a quelle dei lavoratori, mani diverse dalle mani di chi per paura nasconde sotto terra i talenti ricevuti. La speranza è paziente, è benigna, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (il riferimento è all’Inno alla carità, ndr). La speranza è figlia della carità e in tutto le assomiglia: questo ho imparato e questo la nostra Chiesa deve testimoniare per amore del Vangelo e in forza della sua fede nel Signore Gesù».