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Mappe IconMappe | Mappe 09 – Il caro vita – ottobre 2022

martedì 11 Ottobre 2022

La stagflazione è il passato che ritorna. E non solo sui libri di storia

Non solo sui libri di storia Aumentano i prezzi e l’economia non cresce. Guerra e pandemia non spiegano tutto: come siamo arrivati a questo punto?

Gianluca Salmaso

Mattina, interno giorno. «Un caffè per favore». Il macinino trita i chicchi direttamente nel filtro, il barista innesta il braccio portafiltro nel corpo della macchina espresso, pigia il bottoncino e il caffè inizia a riempire la tazzina. Piattino, cucchiaino d’acciaio, tazzina di ceramica con stampigliato il logo di questa o quella torrefazione. Niente di più semplice, di più quotidiano di un caffè al bar, un’occhiata al giornale e poi via a proseguire il resto della giornata. Le nostre nonne dicevano che il caffè è buono «sedente, scottente e par niente», seduti, bello caldo e magari offerto. Con la tazzina di espresso arrivata a costare anche più di 1,30 euro, questa antica saggezza popolare trova nuova ragion d’essere. Il caffè, insomma, è diventato un piccolo lusso e se te lo offrono è sicuramente apprezzato. È l’inflazione, l’aumento generalizzato dei prezzi, che colpisce ogni aspetto della nostra vita e che va di pari passo con la carenza di materie prime e componenti che portano a cercare soluzioni per far quadrare i conti, riempire la tazzina.

Una tempesta in una tazzina

Cambio di scena, ora siamo in un grande stabilimento industriale. Antonio Baravalle, amministratore delegato di Lavazza ragiona sui numeri, in ballo c’è il cambio fra euro e dollaro giunto ormai alla parità dopo aver bruciato in un anno oltre il 13 per cento del suo valore. «Compriamo ogni anno circa un miliardo di dollari di caffè: significa che un centesimo di differenza sono 10 milioni aggiuntivi di costo, 10 centesimi 100 milioni» spiega l’industriale a Repubblica. Nel mondo, si beve sempre più caffè ma l’offerta non è cresciuta come la domanda e questo, unito a un cambio sfavorevole e a qualche problema di troppo nelle catene di approvvigionamento e ai costi impazziti dell’energia ha finito per gonfiare oltremodo il prezzo alla tazzina. Questo ha portato alcune aziende produttrici a modificarne la miscela, cambiando le tipologie del caffè e immettendo sul mercato una produzione che poco ha a che spartire con quella tradizionale e spesso di una qualità più bassa. La conclusione è che il caffè del bar costa più caro ma, secondo gli esperti, dovrebbe costare anche di più: almeno 1,50 euro, forse 2 euro per garantirne qualità e servizio. Tanto, forse troppo, di sicuro superata la soglia psicologica di 1 euro a tazzina tutto è possibile.

La guerra è arrivata dopo

«Il prezzo dell’elettricità ha seguito la dinamica dei prezzi del gas e i prezzi del gas sono cominciati ad aumentare nell’estate dello scorso anno, ancor prima della guerra in Ucraina» spiega Fulvio Fontini, professore associato di economia dell’energia all’Università di Padova. Il metano da gasdotto è una risorsa particolare: i flussi unidirezionali vincolano tanto il produttore quanto, se non soprattutto, il consumatore che di fatto si lega a un fornitore privilegiato. Questo legame, specie in un contesto di oligopolio molto ristretto e con un grande “capocomico” sulla scena com’è stata la Russia negli ultimi vent’anni, è alla base di uno squilibrio tanto geopolitico quanto economico. «La vera domanda che avremmo dovuto porci fin dall’anno scorso è: perché il prezzo non è aumentato prima? – continua il docente – La pandemia ha giocato sicuramente un ruolo, deprimendo la domanda, nel rallentare questo aumento che avremmo dovuto vedere». A questo si aggiunge la transizione energetica che, nel medio lungo termine, avrebbe azzerato la rendita di posizione della Russia sul mercato europeo dell’energia. «C’è anche chi può legittimamente ipotizzare che fosse un comportamento strategico della Russia quello di aumentare i prezzi per incamerare il più possibile una rendita prima e in previsione della guerra, ma rimane un’ipotesi».

L’inflazione? È solo un’altra tassa

«L’inflazione è una sorta di tassa nascosta che pagano i creditori a favore dei debitori – spiega ancora il docente dell’Università di Padova – Tra le varie figure dei creditori vi sono i lavoratori che prestano lavoro alla loro azienda e il pagamento di questo lavoro, che avviene dopo un certo periodo, è la remunerazione di un prestito». Una vera e propria cambiale da onorare quotidianamente e che, mensilmente, comporta un aumento di oltre 150 euro ai costi di un normale bilancio familiare, quasi tutti imputabili alla voce energia. E c’è da ritenersi fortunati se non si ha un mutuo a tasso variabile: gli interessi, infatti, sono saliti alle stelle e non accennano a scendere, al punto che Mutuisupermarket.it stima che si raggiungerà il 3,6 per cento nel giugno del 2023. Ma è un dato ottimistico perché c’è chi parla del 4 per cento già dal prossimo novembre con i prestiti personali che già lambiscono il 6 per cento di interessi. A mettere in ordine le cifre ci pensa la Cgia di Mestre che nel luglio scorso stimava come il prelievo forzoso dai conti correnti voluto dal Governo Amato – l’indimenticato e indimenticabile 6 per mille del 1992 – debitamente rivalutato, costò agli italiani 18 volte meno di quanto costi oggi il carovita.

Ritorno agli anni Settanta

È sempre la Cgia a mettere in guardia il nuovo governo in una nota del settembre scorso: «Il pericolo che anche l’economia del Veneto stia scivolando lentamente verso la stagflazione è molto elevato». Crescita azzerata, alta inflazione e disoccupazione: questa è la stagflazione, un fenomeno che credevamo relegato ai libri di storia, agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. «Gli effetti della guerra in Ucraina – continua la Cgia – l’aumento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici rischiano, nel medio periodo, di spingere l’economia verso una crescita pari a zero, con una inflazione che si avvierebbe a toccare le due cifre». Siamo ancora molto lontani da quello che sta succedendo in Turchia, dove l’inflazione è fuori controllo e segna più 83,4 per cento anno su anno, ma un’inflazione come quella certificata di recente a quota più 8,9 per cento su base annua è di per sé già la più alta dal 1985 e comporterebbe un extracosto di oltre 3.550 euro per una famiglia di tre persone, secondo le stime del Codacons.

Calma e sangue freddo

«Dobbiamo capire che l’epoca dell’energia a basso costo è finita – conclude il prof. Fontini – Il che non vuol dire che non avremo mai più energia a prezzi bassi, ma si accompagneranno a momenti con prezzi alti». L’esempio è quello del petrolio che ci ha abituato – e lo stiamo vedendo anche in questi giorni – a prezzi variabili, obbligandoci a gestire in modo virtuoso i nostri consumi se non vogliamo farci trovare impreparati. Affrontare un simile cambio di paradigma anche per il gas non sarà facile anche perché a esso è strettamente legata la produzione di energia elettrica. Ma non abbiamo poi molte alternative.

I redditi sono più bassi di quelli del 2007

Il reddito netto medio delle famiglie nel 2020 è stato pari a 32.812 euro. Lo rileva l’Istat spiegando che rispetto al 2007, anno precedente alla crisi economica, è ancora inferiore del 6,2 per cento. La perdita complessiva rispetto ai livelli del 2007 resta decisamente più ampia per i redditi da lavoro autonomo (meno 25,3 per cento) rispetto ai redditi da lavoro dipendente (meno 12,6 per cento). Nella sola seconda metà del 2022, il potere d’acquisto a famiglia sarà di circa 470 euro in meno in soli sei mesi.

Eccedenze alimentari e abiti usati

Cibo recuperato e abiti di seconda mano: i prezzi volano ed è caccia al risparmio, attraverso app che offrono soluzioni per chi è in difficoltà o vuole adottare un nuovo modo di consumare. Too good to go, che permette di mettere in circolo eccedenze alimentari, nel solo mese di settembre ha registrato in Italia circa 500 mila i pasti salvati. Ne avevamo parlato sulla Difesa del 2 ottobre pag. 30.

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