Fatti
La Tunisia reprime se stessa
Lo sguardo al Paese nordafricano di due volontarie appena rientrate: il rischio della svolta autoritaria, sindaci deposti, sale la disoccupazione e aumenta l’odio verso gli stranieri
FattiLo sguardo al Paese nordafricano di due volontarie appena rientrate: il rischio della svolta autoritaria, sindaci deposti, sale la disoccupazione e aumenta l’odio verso gli stranieri
«Rammentiamo alle autorità pubbliche e alla collettività tunisina il rispetto dei diritti umani e il loro dovere di ospitalità e di protezione dei non cittadini. È ora che la Tunisia sia all’altezza della sua gloriosa storia: una terra africana di accoglienza e di diversità». È l’appello lanciato da 40 organizzazioni di attivisti e 160 personalità nella crisi innescata dal presidente Kaïs Saïed. Raccontano Silvia Di Meo e Ludovica Alberti, volontarie appena rientrate dall’ultima “missione” del progetto padovano Melting Pot Europa: «Eletto nell’estate 2021 come una specie di salvatore della patria, nel nome della lotta alla corruzione, il presidente tunisino ha imposto una svolta autoritaria. Sciolto il Parlamento; azzerata la libertà di espressione di intellettuali, giornalisti e movimenti; cancellati per decreto a marzo 350 sindaci e consigli comunali. In Tunisia non si trovano zucchero, farina, caffè, mentre viene razionata l’acqua e la disoccupazione al 15 per cento spinge soprattutto i giovani ad emigrare». In Tunisia è perfino esploso il razzismo populista: «Una vera e propria persecuzione dei 20 mila immigrati sub-sahariani – testimoniano le due volontarie – A febbraio la pulizia etnica ha colpito con un’ondata di violenza gli stranieri, costretti spesso a lasciare il Paese o a chiedere la tutela delle ambasciate. D’altro canto, l’Unione Europea finanzia la Guardia costiera replicando in Tunisia il modello libico. Le corvette militari provocano i naufragi dei barconi, riportano a terra i migranti, non rispettanonemmeno donne e bambini». Insomma, la “primavera araba” è solo un pallido ricordo in uno Stato in cui la repressione assomiglia alla dittatura dei tempi più bui. Il futuro è appeso ai 2 miliardi di dollari del Fondo monetario internazionale, mentre Onu e organizzazioni internazionali non si dimostrano all’altezza dell’emergenza. MeltingPot Europa, comunque, alimenta la resistenza in particolare delle donne costrette a vivere in alloggi di fortuna: «A Medenine, 70 mila abitanti nel sudest della Tunisia, da quasi due anni sta crescendo Free- Femmes – spiegano Silvia e Ludovica – Era nato come laboratorio di cucito della sarta tunisina Rafika nella casa dell’Associazione per il sostegno alle persone migranti, poi ha coinvolto un gruppo eterogeneo di ivoriane, camerunesi, nigeriane e tunisine. Così è diventato il luogo di espressione personale e collettiva sul significato della libertà di movimento, della frontiera, del razzismo e sulla lotta contro le discriminazioni». Un’esperienza preziosa che ha meritato il sostegno delle madri e sorelle tunisine dei migranti morti o scomparsi nel Mediterraneo.
Melting Pot Europa è un progetto editoriale e di comunicazione sociale nato nel 1996 dalla cooperativa Tele Radio City di Padova, che racconta e analizza i processi di trasformazione del fenomeno migratorio in Italia e in Europa. Portachiavi, borse, astucci, elastici per capelli, tutti prodotti a Medenine, in Tunisia, si possono acquistare nello shop online del sito di Melting Pot Europa www. meltingpot.org Per ulteriori informazioni: shop@meltingpot.org