Mosaico
La vocazione dell’Opsa. Dare risposte a chi non le trova altrove
La vocazione Dopo oltre 60 anni di storia, Opsa continua a dare un contributo di pensiero e operativo alle nuove forme di disabilità
MosaicoLa vocazione Dopo oltre 60 anni di storia, Opsa continua a dare un contributo di pensiero e operativo alle nuove forme di disabilità
Osservata da fuori, nelle sue strutture variegate e integrate all’interno del grande parco di Sarmeola di Rubano, l’Opera della Provvidenza Sant’Antonio, a un occhio inesperto sembra condurre la sua ordinarietà, immutabile da quando, il 23 ottobre 1956, l’allora patriarca di Venezia Angelo Roncalli (oggi san Giovanni XXIII) ne benedisse la prima pietra. A distanza di 67 anni, basta varcare la soglia dell’Opera per rendersi conto di avere di fronte un laboratorio in piena elaborazione, come testimoniano le parole del direttore generale don Roberto Ravazzolo, del direttore sanitario Domenico Rossato e della direttrice socio assistenziale Elisabetta Bellinello. Dopo tutto questo tempo, il ruolo dell’Opsa nel mondo della disabilità è noto e consolidato, al punto che dopo la pandemia hanno ripreso i turni di volontari provenienti da diversi Paesi europei. E tuttavia la sfida che ha davanti non è semplice: «Oggi dobbiamo chiederci come rispondere ai nuovi bisogni emergenti delle persone con disabilità e delle loro famiglie grazie agli spazi che nel tempo l’Opera ha creato – riflette il direttore generale don Roberto Ravazzolo – Aprire una riflessione sulle nostre potenzialità e sulle relazioni a cui abbiamo dato vita con l’Ulss e con le altre realtà del Terzo settore è fondamentale per non rimanere accomodati su quanto abbiamo già sperimentato». La lunga tradizione dell’Opsa entra quindi in contatto diretto con gli stimoli del presente e, grazie alle competenze del personale, non smette di guardare al futuro. Se l’Opsa è nata per accogliere persone con disabilità fisica e psichica, si trova oggi a fare i conti sempre più con nuove forme legate al disturbo del comportamento, lo spettro dell’autismo o sintomi psichiatrici. Si tratta di affrontare tutto questo dal punto di vista del pensiero e della progettazione delle competenze, prima ancora che da quello dell’organizzazione interna.
Quali sono le nuove forme di disabilità che oggi interrogano l’Opsa?Domenico Rossato: «Ancora oggi osserviamo la continuità tra la storia e il futuro dell’Opera. Allora come oggi, si rivolgono a noi le persone che non trovano sollievo altrove e il nostro compito, come credenti oltre che come professionisti, è quello di non limitarci a fare ciò che è possibile, ma di provare a profetizzare ciò che potremo mettere in atto nel futuro. Le nuove disabilità sono particolarmente svianti perché non hanno risposta sanitaria né culturale e possiamo raggrupparle in tre grandi fattori. Il primo è legato all’invecchiamento generale della popolazione, fenomeno che appartiene anche alle persone con disabilità. Pertanto abbiamo pazienti che presentano, oltre alle caratteristiche tipiche della loro condizione, anche quelle dell’anzianità. Da poco è mancato un paziente con sindrome di Down all’età di 74 anni, il record appartiene a una signora statunitense di 76 anni. Una frontiera per cui né il mondo politico, né quello culturale e nemmeno la società sono preparati o hanno i mezzi per affrontarla. Il secondo grande fattore deriva dalle malattie rare, multi compromettenti, a elevato impatto assistenziale, dove l’intervento graduale, che parta con ricoveri programmati o di sollievo può permettere alla famiglia di educarsi, ed educare noi, alla condizione del paziente. Infine ci sono le persone che sopravvivono a traumi importanti, come per esempio ictus o incidenti stradali. Le tecniche di rianimazione come gli apparati sempre più avanzati stanno facendo dilatare il numero di casi di queste persone che subiscono un improvviso cambio di paradigma della loro esistenza. Queste tre tipologie sono particolarmente sfidanti perché chiedono un impegno di risorse straordinario, pertanto abbiamo prima bisogno di sviluppare un pensiero adeguato, con un’attitudine mentale che ci permetta di operare nella continuità del giorno dopo giorno e non solo sotto i riflettori della Giornata mondiale della disabilità».
Quali sono le principali competenze di cui vi avvalete?Elisabetta Bellinello: «Tocchiamo con mano quotidianamente come sia importante l’approccio integrato per rispondere a nuovi bisogno. Serve lavorare in equipe formate da diversi professionisti e servono sempre più interventi specializzati. Dobbiamo aumentare il nostro bagaglio formativo e di competenze. In modo particolare rispetto a nuove forme di disabilità e di disturbi di comportamento che noi stiamo vedendo. Persone con disabilità intellettiva con forme significative dal punto di vista del comportamento mettono a dura prova tutti gli operatori, pertanto ci formiamo sul lavoro comune – semplice a dirsi, molto più complesso da realizzarsi – oltre ad assumere nuove metodiche e tecniche specifiche per persone con disturbo comportamentale (behaviour modification) mirate a saper cosa fare in situazioni particolari. Non esistono infatti manuali, ma solo linee guida orientative. Un altro aspetto importante sono le competenze relazionali e sociali dei professionisti per lavorare in forma integrata con i servizi, ma anche con le famiglie che devono avere ruolo centrale nel progetto di vita della persona con disabilità. La struttura sanitaria è centrale, ma l’Opera per i pazienti diventa luogo di vita, in cui è fondamentale mantenere continuità con famiglia, territorio, affettività, relazionalità. È importante conoscere le allergie del paziente, ma anche cosa ama fare, sentire, ascoltare, quali sono le azioni che lo fanno sorridere o arrabbiarsi. Mettiamo in pratica una presa in carico personalizzata su ogni paziente, anche dentro una realtà grande com’è l’Opera».
Avete dato vita a nuove progettualità in merito?Elisabetta Bellinello: «Proprio a novembre stiamo per aprire un nucleo abitativo sperimentale per dare risposta alle segnalazioni che ci arrivano dai servizi di persone con disabilità intellettive e gravi problematiche comportamentali. In questo nucleo saranno accolte persone con disabilità lieve o moderata, uniformi dal punto di vista della valutazione del funzionamento cognitivo e delle autonomie con disturbi del comportamento e della condotta e altri condizioni medico psichiatriche. Questo nucleo vorrebbe essere abilitante o abilitativo. Il nostro obiettivo principale è modificare nel limite del possibile il repertorio comportamentale, sviluppando le abilità di fronteggiamento e quindi le capacità di problem solving, e le abilità sociali. Dopo un percorso importante, lungo anche di più di un anno, vorremmo inserire queste persone all’interno di altri nuclei. Parliamo quindi di un nucleo pilota con 10-12 pazienti in stanze singole, per dare la possibilità di avere un luogo di intimità, e con attività strutturate a seconda delle problematiche individuali e quindi in un approccio del tutto personalizzato».
Che cosa significa tutto questo dal punto di vista organizzativo?Domenico Rossato: «La necessità sanitaria e assistenziale cresce. In questo senso siamo debitori alla storia dell’Opsa, che da sempre ha una direzione sanitaria che ha compiuto scelte importanti ancora oggi. Anzitutto noi abbiamo l’assunzione in presa diretta dei professionisti: da noi non ci sono esterni che offrono una prestazione e poi vanno via, ma operatori di tutti i livelli che scelgono e si coinvolgono nel progetto. In secondo luogo, abbiamo a disposizione presìdi avanzati per esempio per movimentare pazienti con pesanti deficit neurologici. Parliamo di interventi ingegneristici fatti di rotaie e altri ausili per il confort dell’operatore e la sicurezza del paziente. Ospa poi è dotata di tutti gli apparati per i gas medicali, tra cui l’ossigeno: un paziente che dovesse ricorrere all’ossigeno-terapia dal proprio domicilio rischia di avere l’ausilio a disposizione anche dieci o dodici giorni dopo l’insorgere della necessità. Infine c’è una cultura di base da parte di tutti gli addetti: abbiamo pazienti con necessita particolarissime, molti di loro sono delicatissimi da spostare, è necessario che l’attenzione e le competenze di base siano presenti in tutte le equipe e in tutti i turni di lavoro».
Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?Domenico Rossato: «Oggi l’Opsa è un poliambulatorio autorizzato alla gestione dei pazienti interni grazie alla poliedricità delle specialità interne. Vorremmo diventare un polo accreditato per poter offrire al territorio servizi che oggi non sono presenti. Per questo ci siamo dotati, ad esempio di un apparecchio per la diagnostica strumentale mobile per esami radiologici ed ecografia. Un altro esempio tipico è quello dell’odontoiatria. Se si chiede all’Ulss una visita con urgenza media, servono mesi anche solo per un controllo previo, che poi individui altre tempistiche per intervenire. Oggi noi abbiamo a disposizione strumenti e professionisti per intervenire, in caso di pazienti con disabilità e quindi non collaboranti, anche in semi anestesia».
Eppure oggi si insiste molto sull’incisività e sull’assistenza domiciliare. Don Roberto Ravazzolo: «La società oggi è molto sensibile ai diritti delle persone con disabilità, ma è necessario che questi diritti vengano declinati non in base al principio di uguaglianza, ma di equità. Occorre valutare la condizione delle singole persone e quindi fornire la risposa migliore. L’Assistenza domiciliare per i gravissimi, per esempio, può essere possibile in taluni casi, quando le condizioni lo permettono, altre volte sono necessarie le strutture. Occorre agire in termini di diritti e non di gentile concessione e di benevolenza. Questo vale per la persona con disabilità, ma anche per la famiglia, che va accompagnata in un percorso di continua elaborazione di lutti che hanno impatto sulla vita del singolo e del nucleo. Così, gli enti del Terzo settore impegnati nel campo della disabilità, non devono sentirsi in concorrenza tra di loro, ma parte di un’unica rosa di possibilità che rispondono a bisogni differenti, qualificando professionalmente il contributo della propria struttura».
La storia dell’Opera della Provvidenza S. Antonio inizia ufficialmente con un documento del 26 novembre 1955, in cui il vescovo di Padova mons. Girolamo Bortignon dichiara pubblicamente di voler realizzare una casa di accoglienza per le tante persone con gravi disabilità con le quali era venuto a contatto durante la sua prima visita pastorale alle parrocchie della Diocesi. Il 23 ottobre 1956 il card. Angelo Roncalli, patriarca di Venezia, benedice la prima pietra dell’Opera della Provvidenza S. Antonio. Il 19 marzo 1960 il vescovo di Padova inaugura ufficialmente l’attività dell’Opera della Provvidenza