Mosaico
L’agricoltura sociale verso una rinnovata normativa
Il Veneto è stata la prima Regione a dotarsi di una legge in tema di agricoltura sociale, la 14 del 2013.
Il Veneto è stata la prima Regione a dotarsi di una legge in tema di agricoltura sociale, la 14 del 2013.
A distanza di undici anni, sembra sia già arrivata l’ora di rimetterci le mani, sia perché nel frattempo, nel 2015, è stata approvata una legge nazionale (Legge 141) cui non è stata ancora uniformata, sia perché la normativa “apripista” richiede dei correttivi. Plaudono all’iniziativa le Fattorie sociali padovane, quattro sulle 37 totali del Veneto, che attendono una svolta da un settore che non sembra avere espresso il suo vero potenziale. Le parole d’ordine del Progetto di legge, il n. 285 a firma della consigliera Sonia Bottacin, sono «semplificazione», ad esempio rispetto alle procedure per l’avvio delle attività (si ipotizza una semplice Scia comunale); si parla poi di «valorizzazione dell’imprenditore» che scelga la non facile strada di offrire servizi di agricoltura sociale. Che, secondo l’attuale legge, sono quelli rivolti all’inserimento lavorativo e all’inclusione di soggetti svantaggiati – i più gettonati – e alle attività a supporto di terapie: un ventaglio che verrebbe di fatto sensibilmente ampliato. «Ruolo centrale in questo contesto – ha commentato l’assessore veneto all’Agricoltura Federico Caner – lo riveste l’agricoltura, che conferma la propria multifunzionalità nel fornire anche servizi innovativi. Non va trascurata questa ennesima evoluzione dell’impresa agricola, che diversifica e diventa sempre più multifunzionale, nell’ottica di recupero della tradizione e di un nuovo welfare. Il progetto di legge, oltre ad adeguarsi alla normativa nazionale, sceglie di valorizzare sempre di più la figura dell’imprenditore agricolo ampliando e consolidando la gamma dei servizi erogabili nelle fattorie sociali». Al centro di tutto, per la normativa, rimarrebbe comunque l’impresa agricola, o quella sociale che svolge attività rurali, che, per essere definita Fattoria sociale ed essere iscritta all’apposito Albo regionale, deve sottostare a determinati requisiti, come un certo numero di ettari e di ore di lavoro agricolo. Ma agricoltori sociali non ci si improvvisa: le difficoltà nel rapporto con le persone svantaggiate, così come l’onere di assumere operatori preparati, hanno finora scoraggiato molti agricoltori ben intenzionati, se non avevano forti motivazioni o magari un familiare nel settore sociale. Al contrario tante imprese sociali, attive in ambito agricolo ma non come settore principale, non hanno potuto soddisfare requisiti troppo “agricoli”. «Quando fu approvata – racconta Sara Tognato della cooperativa sociale agricola e Fattoria sociale Caresà – l’attuale normativa, promossa in particolare da Coldiretti, l’intento primo era proprio ampliare le opportunità di occupazione e reddito degli agricoltori. La cosa non si è rivelata facile. Le aziende agricole possono però tornare a essere quel contesto familiare, comunitario, alimentare e inclusivo che le ha sempre contraddistinte. Unire agricoltura e sociale è qualcosa che deve nascere da un progetto, ma anche dal cuore: credo sia importante accompagnare queste aziende nei loro percorsi di cura e di supporto alle persone fragili».
Risale al 2013 la Legge regionale 14 che per prima normò, in Italia, l’agricoltura sociale intesa come inserimento lavorativo e ausilio a terapie sanitarie. Due anni dopo la normativa nazionale (141/2015) ampliò l’ambito del settore includendo altre attività come quella didattica e la salvaguardia ambientale.