StorieAvveniristico. All’ombra del campanile di Sant’Antonino, alla fine degli anni Sessanta, la storia del gruppo vincente di ragazze allenate da suor Angela
«Tu, vieni qua! Prova a tirare ‘sta baea!». Maria Rosa Franzin ricorda ancora nitidamente quell’incitamento rimbombato dal nulla mentre attraversava il patronato di Sant’Antonino all’Arcella. Dall’altro lato della recinzione era piovuta una “strana palla” bianca, con una vistosa doppia fila di cuciture tondeggianti. Maria Rosa alzò lo sguardo e vide un allenatore, un gruppetto di ragazze, un guanto e una mazza mai visti prima. Anzi sì, erano della squadra maschile di baseball dell’Unione sportiva Arcella, uno sport portato in Italia dal vento caldo americano e che l’allora coach Mirco Berti pensò di far conoscere anche all’ala femminile.
Agli albori del movimento italiano, erano gli ultimi anni Sessanta, quando tutto questo era inusuale, è così che a Padova è nato il softball. Fu una scintilla scoccata nel patronato, sezione riservata alle ragazze, nella Domus Laetitiae. Un gruppo di giovani adolescenti che aveva la curiosità di esplorare, avventurarsi in qualcosa di diverso dalle canoniche attività sportive. Temerarie e tanto amiche, al punto che ancora oggi Maria Rosa, Ivette Marabese, Bruna Bertella, Nadia Pallado e Giuliana Botteri si ritrovano per incollare nella memoria collettiva aneddoti e ricordi: «C’era grande ironia, era un gruppo nel quale sapevamo prenderci in giro – racconta Nadia – Non c’era un capitano nella nostra squadra, a turno in relazione a una situazione particolare, c’era chi prendeva in mano la situazione, incitava le altre e le spronava. Ognuno di noi aveva una forza e per questo abbiamo sin da subito trovato il giusto feeling».
Ci si adattava come si poteva, i primi allenamenti erano in posti angusti e limitati. Le regole da imparare erano tante con Ivette che ammette di aver avuto sempre tanta difficoltà ad assimilare il terzo strike. E poi i ruoli, battitore, lanciatore, le corse verso le varie basi, le partite ufficiali sul campo da calcio in terriccio, altroché il diamante, l’attuale campo di gioco regolamentare dove si svolgono le partite di baseball e softball. E poi l’emozione di indossare la divisa ufficiale per la prima volta, bianca, di cotone, con i calzettoni neri dello stesso tonalità cromatica delle cuciture e dei colori sociali della polisportiva all’ombra del campanile. Sembrava di essere catapultati dall’altro lato dell’oceano Atlantico: «Sulla schiena avevano scritto Usa, l’acronimo di Unione sportiva Arcella – svela sorridendo Bruna, detta Brunetta perché era ed è la più giovane della “famiglia” – Però quando andavamo in trasferta ci prendevano in giro: “guarda che esaltate”, dicevano pensando al riferimento con gli Stati Uniti».
Il ricordo del primo campionato e dei primi incontri disputati fuori regione, trasferte in pullman con qualche genitore che non lasciava andar via le proprie figlie. La vittoria 2-1 tiratissima contro il Cinzano e una partita giocata a Roma, nel 1972, che Giuliana ricorda meglio delle altre perché suo marito era nella capitale per svolgere il militare e si incrociarono di sfuggita alla stazione Termini per un abbraccio fugace che sapeva di distanza, di amore e di altri mesi d’attesa.
Ma basta un nome per vedere brillare gli sguardi delle amiche ed ex giocatrici: suor Angela Piccolo. Oltre Mirco Berti, lei è stata la vera energia feconda della prima assoluta squadra di softball in città e una delle prime su tutta la penisola. Vedeva in questo sport una disciplina aggregante, un progetto “avveniristico” per dare alle ragazze un’alternativa, una possibilità di scelta, cosa rara, molto rara in quegli anni. Dirigente accompagnatore, fondatrice, suor Angela dell’ordine delle suore Elisabettine francescane: «Era esigente, grintosa, ma era la nostra prima tifosa – confida Ivette – Ricordiamo con piacere i momenti di spiritualità con lei prima di salire in pullman. È ancora oggi una persona composta, rispettosa del suo ruolo. Voleva darci un’opportunità, motivarci a credere in noi stesse».
Nel 1922, quasi un secolo fa, i frati minori decisero di promuovere, accanto al santuario di Sant’Antonino, uno spazio fisico e di aggregazione per i giovani del territorio e della parrocchia. Nella promozione dell’attività ricreativa lo sport fu scelto quale strumento per trasmettere i valori umani fondamentali come il rispetto, l’apertura verso gli altri, la coesione delle forse e testimoniare l’esperienza cristiana.
Anche se è difficile immaginarlo ai giorni nostri, al tempo la squadra arcellana di softball era seguitissima. Tamburi, cori, un tifo straripante: una grande partecipazione del pubblico durante le partite della domenica mattina che, dopo la celebrazione della messa, accorreva a supportare la squadra conosciuta in tutta Italia per la sua dimensione “locale” e per la presenza in panchina di suor Angela. La squadra negli anni si tolse numerose soddisfazioni: le ragazze erano davvero in gamba, erano forti, al punto che nel 1971 – pochi anni dopo la fondazione – ottennero un incredibile secondo posto nel Campionato nazionale italiano conquistato al campo “Falchi” di Bologna.
Rotocalchi e riviste nazionali hanno raccontato le gesta di queste ragazze tra cui Enzo Tortora e la Domenica sportiva che menzionò il team con la suora in panchina, episodio rimasto unico nella storia della sport italiano. Anche Topolino dedicò un paio di paginette alla scoperta di questo baseball femminile così tanto “alieno” alla tradizione italiana. Alcune ragazze dell’Unione sportiva Arcella, tra cui Ivette Marabese, andarono addirittura in Nazionale, convocate successivamente per i Mondiali in Canada; mentre sempre negli anni d’oro della disciplina fu organizzata anche una tournée americana, uno scambio culturale che raggruppò alcune giocatrici per mettere su una rappresentativa regionale contro squadre di Los Angeles e San Francisco.
Negli anni Ottanta, poi, il gruppo è andato disgregandosi, complice la scelta delle atlete di proseguire nel proprio cammino di crescita professionale e di vita. Nacquero progetti paralleli così come la decisione di accorpare la sezione femminile del Cus, che aveva un campo migliore nell’attuale parco Milcovich, per continuare a gareggiare in Serie A.
Parallelamente alcuni giocatori della sezione maschile dell’Us Arcella fondarono nel 1975 il Padova Baseball partendo dalla Serie C. La prima svolta importante è legata al nome di Mariano Bellamio, grande appassionato di baseball che in quel periodo entrò in società come sponsor e presidente. Il suo operato diede uno slancio anche grazie al nuovo campo allo stadio Plebiscito, costruito in quegli anni dall’amministrazione comunale, e tutt’ora in funzione. La ventennale gestione di Bellamio permise ai padovani di sviluppare il settore giovanile, promuovere lo sport nelle scuole cittadine ma soprattutto alla prima squadra di inserirsi tra le compagini più importanti della serie B di allora, arrivando nel 1996 alla storica promozione in serie A2.
Ed è proprio grazie alla tenacia di Giuliana Botteri che il softball è riuscito a rivivere una seconda giovinezza: sua figlia, seguendo suo fratello, quattro anni più grande e appassionato di guantoni e mazze, ha iniziato a praticare lo sport per divertimento. Come l’esperienza di 50 anni prima, con passaparola e spirito di emulazione tra le amiche, con un po’ di pazienza è stata messa su la squadra femminile: è l’origine dell’attuale Padova Softball Braves.
