Idee
Un tempo esisteva l’“amico immaginario”, oggi c’è l’Intelligenza Artificiale e, a quanto pare, funziona anche meglio!
È “sempre disponibile”, “mi capisce, mi tratta bene”, “non mi giudica”. Così i giovani (in età compresa tra i 15 e i 19 anni) descrivono il loro rapporto, ormai quotidiano, con l’Open AI in un recente sondaggio, contenuto nella XVI edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia, dal titolo “Senza filtri” e diffuso nei giorni scorsi da Save the Children.
Il tema, in effetti, è “caldo” perché negli ultimi due anni fra smartphone, chat, compiti scolastici e “compagnie digitali”, la relazione dei ragazzi con l’AI è cresciuta notevolmente e sta trasformando il loro modo di pensare e risolvere problemi.
La fruizione più comune avviene attraverso i chatbot, cioè dei software in grado di decodificare il linguaggio naturale umano e simulare conversazioni. Questi strumenti sono in grado di offrire aiuto e supporto in maniera semplice e immediata, realizzando di fatto delle comfort zone dove dialogare, trovare facili risposte, disponibilità continua, in molti casi rassicurazioni.
Nell’indagine di Save the Children il 58,1% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare l’Intelligenza Artificiale per chiedere consigli anche su qualcosa di serio e di importante per la propria vita (il 14,3% spesso, il 43,8% qualche volta); il 63,5% ha trovato più soddisfacente confrontarsi con uno strumento dell’AI che con una persona reale (il 20,8% spesso, il 42,7% qualche volta); il 48,4% ha perfino condiviso informazioni della sua vita reale.
L’utilità dell’AI è chiara per molti giovani: aiuta a riassumere testi, a trovare ispirazioni creative, a velocizzare compiti ripetitivi. Per la scuola e l’Università questo ausilio si rivela prezioso per chiarire dei concetti o generare delle bozze, spesso anche per risolvere e svolgere completamente dei compiti.
Poi c’è il versante “intrattenimento”: alcuni ragazzi usano gli AI-bot come “compagni”, o allenatori sociali, con effetti psicologici da monitorare. Anche per l’ambito professionale la generazione Z si mostra pronta a sperimentare l’AI per il brainstorming, la programmazione e l’automazione di attività ripetitive, nell’ottica di accelerare l’acquisizione di competenze richieste dal mercato.
Tutto molto interessante. Ma quali sono i rischi?
Alcuni esperti ipotizzano che l’AI possa erodere nei più giovani abilità fondamentali come la capacità di ricerca critica, il problem solving originale e la scrittura autonoma. In uno studio sul mondo scolastico britannico, una larga percentuale di alunni utilizzatori ha ammesso che gli strumenti AI rendono lo studio “troppo facile” e ne riconosce gli effetti potenzialmente negativi sull’apprendimento, come l’emergere un forte calo dello spirito di ricerca personale.
L’AI, nei tempi lunghi, potrebbe poi danneggiare le capacità degli esseri umani di immagazzinare informazioni nella memoria, addirittura quella di prendere decisioni.
Al momento, pare che la fiducia verso i risultati prodotti dall’AI da parte dei giovani sia comunque selettiva: essi ne accettano rapidamente le risposte quando risolvono un problema concreto, ma sono più cauti quando il chatbot produce informazioni sensibili, o elabora autonomamente un giudizio critico. In effetti, in molte circostanze ne hanno sperimentato l’inaffidabilità.
Di integrare l’AI con i percorsi didattici sperimentali si parla anche a scuola. Probabilmente nell’arco di cinque anni curricula e materiali per l’apprendimento includeranno moduli su AI literacy, verifica delle fonti, bias e uso etico di queste risorse. Le scuole che si adegueranno in maniera più strutturata e consapevole, potranno osservare un bilanciamento fra efficienza e apprendimento profondo.
Da questo “innesto” nasceranno chiaramente nuove “skill” e competenze come prompt engineering, verifica delle fonti automatiche, supervisione umana di sistemi generativi e design etico di sistemi conversazionali. Occorrono, però, regole e policy più chiare, soprattutto per quanto concerne la trasparenza degli algoritmi, la protezione dei dati e le limitazioni su prodotti rivolti ai minorenni.