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L’analisi. Suicidio assistito, una proposta confusa
«I l tema del contendere non è tanto il concetto di irreversibilità, ma la differenza tra patologia e condizione clinica».
Idee«I l tema del contendere non è tanto il concetto di irreversibilità, ma la differenza tra patologia e condizione clinica».
Lo spiega Gian Luigi Gigli, neurologo, direttore della Clinica neurologica e di neuroriabilitazione a Udine, in merito alla proposta di legge sul suicidio assistito in attesa al vaglio del Senato, dopo l’approvazione della Camera.
Dottor Gigli, quand’è che una patologia si può definire irreversibile?
«Irreversibile è qualunque processo che non può tornare indietro. L’irreversibilità è uno dei paletti all’interno dei quali si sarebbe dovuto muovere il legislatore, stando alla sentenza Corte costituzionale che chiedeva, infatti, di legiferare sulla non punibilità, a determinate condizioni, di chi avesse aiutato il suicidio di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da patologia irreversibile. Il problema è nell’iter legislativo del testo unico approvato dalla Camera (diventato nel frattempo sulla “Morte volontaria medicalmente assistita” ndr) dove sono state introdotte significative novità che vanno ben oltre. Il legislatore, infatti, ha introdotto il concetto della condizione clinica irreversibile come possibile alternativa alla patologia irreversibile a prognosi infausta. Dunque, bisogna chiarire cosa si intende per patologia e cosa per condizione clinica. Nella pratica clinica una patologia irreversibile a prognosi infausta equivale a una malattia in coro, per la quale non è prevedibile altro esito se non la morte in un tempo breve».
Se il testo di legge manterrà l’attuale formulazione che problemi verranno a crearsi?
«C’è il rischio che il suicidio possa essere chiesto e ottenuto non solo da chi ha una patologia irreversibile a prognosi infausta, ma anche da chi ha una condizione clinica di disabilità irreversibile (nel senso di permanente), ma con la quale può convivere per molto tempo. Faccio un esempio: anche una situazione di paraplegia per un incidente stradale può portare il paziente a richiedere il suicidio assistito, perché la condizione clinica è certamente irreversibile e si può sostenere che sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che per il paziente sono intollerabili. Quindi, può richiedere il suicidio assistito».
Ci sono altre contraddizioni che vale la pena evidenziare?
«Affinché l’aiuto al suicidio potesse essere “legittimo” e quindi depenalizzato, la Corte costituzionale aveva chiesto che le condizioni cliniche del richiedente e le modalità di esecuzione del suicidio fossero verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, affidando ai Comitati etici la tutela delle situazioni di vulnerabilità, per evitare abusi. La Consulta, tuttavia, prevedeva che per le strutture del Ssn non ci fosse alcun obbligo di collaborare al suicidio. La Corte si era limitata “a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici”. Restava affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato. Il legislatore in questa fase ha esattamente invertito le cose: non sarebbe più richiesto che ci sia una verifica della struttura pubblica, bastando la dichiarazione del medico di base o di uno specialista. E poi il paziente potrebbe chiedere che il “suicidio” si verifichi nelle strutture del Ssn».
«Viene veicolata l’idea di un “diritto” alla prestazione, quasi che il suicidio entrasse nei livelli essenziali di assistenza. È evidente che vengono stravolte le finalità dei luoghi di cura. Ciò è tanto vero che il legislatore ha dovuto introdurre la possibilità del ricorso all’obiezione di coscienza per il medico che non intenda collaborare al suicidio, obiezione che invece la Corte non contemplava, essendo l’impegno nella cura la normalità per il medico e la collaborazione al suicidio l’eccezione, per chi si sentisse di collaborare a essa».