Rubriche | Metropolis
Le donne iraniane nel cinema
Cecilia Sala è tornata e nel nostro respiro di sollievo c’è tutto anche l’annaspare, invece, delle donne iraniane che continuano a lottare nella loro sorte disperata
Cecilia Sala è tornata e nel nostro respiro di sollievo c’è tutto anche l’annaspare, invece, delle donne iraniane che continuano a lottare nella loro sorte disperata
Ce lo racconta il cinema che nell’ultimo anno non ha mai smesso di consegnarci opere sulla condizione femminile a Teheran e dintorni. Abbiamo visto Tatami codiretto dalla franco-iraniana Zar Amir Ebrahimi (anche attrice) e l’israeliano Guy Nattiv, La testimone – Shaed del regista e sceneggiatore iraniano Nader Saeivar, Leggere Lolita a Teheran del regista israeliano Eran Riklis e La bambina segreta diretto da Alì Asgari, regista e sceneggiatore iraniano. Sempre di Asgari e co-diretto con Alireza Khatami non possiamo dimenticare il suo film a episodi, ferocemente surreale, Kafka a Teheran. Il 23 gennaio esce il dolceamaro Il mio giardino persiano, presentato in concorso al 74° Festival internazionale del cinema di Berlino dove non è stato accompagnato dai suoi due autori Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, ai quali era stato negato il passaporto, a riprova che in un regime oscurantista i film scomodi si pagano tutti, fino all’ultima sequenza. Nella prima parte del film Mahin, una settantenne vedova da trent’anni, si ritrova a difendere una giovane ragazza che lievemente truccata e con il hijab non indossato correttamente sta per essere prelevata dalla polizia morale e caricata in un bus già pieno di altre malcapitate. Di fronte al fatto che Mahin la invita, superato il pericolo, a essere più forte nel difendere le proprie ragioni e diritti, con una verve struggente la ragazza le farà notare che loro, la generazione di donne della protagonista, hanno vissuto una giovinezza con tutt’altri orizzonti. Con l’attenzione di non svelare il delizioso incontro che infuocherà il resto del film aggiungiamo soltanto che sebbene sussistano irrimediabilmente anticorpi diversi in ogni generazione, anche Mahin non potrà sottrarsi dal fare i conti su cosa significhi anche a settant’anni difendere le proprie istanze a Teheran. Il 20 febbraio uscirà Il seme del fico sacro di Mohammad Rasoulof, regista, sceneggiatore e produttore iraniano dal 2010 condannato più volte dalla corte rivoluzionaria iraniana. Nel 2024 l’autore del potentissimo Il male non esiste è riuscito fortunatamente a fuggire dal Paese, poiché condannato ad altri otto anni di carcere, alla fustigazione e alla confisca dei suoi beni. Il suo film girato a distanza e in clandestinità è stato premiato con il Gran premio della giuria durante l’ultima edizione del Festival di Cannes. Con una storia intergenerazionale che mette al centro le proteste giovanili femminili di piazza degli ultimi anni, Il seme del fico sacro illumina ulteriormente il controllo subdolo e invasivo, ma più spesso invisibile, a cui è sottoposta gran parte della società iraniana odierna. No, il grande schermo non abbandona le donne iraniane: possiamo affermare con tante emozioni sulla pelle, difficilmente dimenticabili, che i riflettori cinematografici non si sono mai spenti sulla “detenzione nella routine” che in tanti modi le donne iraniane si ritrovano a vivere nelle infinite limitazioni a loro imposte e sicuramente le sale della comunità della Diocesi di Padova non mancheranno di programmare anche queste due ultimissime opere in uscita.
Arianna Prevedello Referente Cultura, Pastorale e Formazione dell’Acec