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Mappe IconMappe | Mappe 14 – Le identità dell’Europa – aprile 2023

mercoledì 19 Aprile 2023

L’Europa culla delle libertà religiose

Riscoprire le radici, cristiane e anche in parte islamiche, del continente: è così che si può abitare assieme una casa comune fatta di diverse identità

Gianluca Salmaso

L’ unione è unica ma sulla religione le differenze sono profonde, radicali e ripercorrono quella che fu la cortina di ferro ma al contrario. Secondo i dati del Pew Research Center rielaborati da YouTrend, in Europa i cristiani sono ancora maggioritari in 27 Paesi su 34 esaminati, con i cattolici più diffusi a Occidente, gli ortodossi a Oriente e i protestanti nel Centro-Nord. Ma è sulle adesioni che si riscontra il calo maggiore: il 26 per cento degli spagnoli e il 28 per cento di belgi e olandesi che sono nati cristiani, solo per citare alcuni esempi, si sono allontanati dalla religione. «Le comunità si moltiplicano nella loro differenza e a volte nell’ignoranza delle loro radici – spiega Vittorio Berti, docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiese all’Università di Padova – Questo non aiuta a creare un dialogo e a favorire la libertà religiosa perché è evidente che l’unica forma di libertà che si afferma nel dibattito pubblico è quella individuale, intesa come disponibilità delle istituzioni a piegarsi a tutti i nostri desideri». Oltre settant’anni di laicismo comunista sembrano poi non aver scalfito la fede nell’Europa orientale, con il 99 per cento dei georgiani che credono in Dio, numeri che fanno sbiadire un poco anche l’86 per cento dei polacchi. «In Europa orientale, sotto il comunismo non si celava una voglia di progressismo ma una società fortemente conservatrice che è emersa e che guarda a noi occidentali, così tolleranti e decadenti, come la parte molle dell’Unione – continua il prof. Berti – Li abbiamo fatti entrare nell’Ue ma ora non possiamo condizionarli nelle scelte e nelle idee anche perché, se non ci stanno, che facciamo? Li buttiamo fuori?». In questi mesi si è parlato molto dell’Ungheria e delle sue politiche non sempre liberali, complice anche una certa vicinanza alla Russia di Putin ma anche la Polonia ha espresso negli anni posizioni non dissimili da quelle di Budapest. «È difficile che l’Unione abbia una politica efficace se ognuno dei Paesi che la compongono presenta situazioni diversificate – chiosa il docente padovano – L’islam in Francia è una questione gigantesca, politica, in Italia la seconda più grossa comunità è quella ortodossa e con risultati differenti, con chiese svuotate di cattolici ma popolate di ortodossi e quindi è più facile immaginare una situazione di completa integrazione in un paio di generazioni. Ed è proprio alle nuove generazioni che spetta il compito di definire che cosa sarà questa Europa dopo che l’abbiamo svuotata di quelle che sono le sue radici giudaico-cristiane e abbiamo cominciato a mettere alla berlina la cultura classica». È l’ideologia del woke (dello “stare svegli” nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali), della cancel culture – la versione contemporanea della damnatio memoriae – che mina alla base ciò che per secoli è stata la cultura occidentale senza, di fatto, proporne qualcosa di alternativo come pure era successo in passato, tra alterne fortune, quando si diffusero le ideologie socialiste e comuniste e alla Chiesa e allo Stato si sostituì il partito. «All’Europa continentale cosa rimane? Abbiamo un sacco di colpe storiche, millenni di ammazzamenti, ma abbiamo fatto cose di un certo interesse: Kant, Francesco d’Assisi, la musica classica e persino la Gioconda. Non dico di nutrirne un certo orgoglio ma almeno un po’ di consapevolezza e di rispetto. È la struttura su cui possiamo costruire una condivisione tra europei, riscoprendo ad esempio anche quelle che sono le radici islamiche del continente». Imparare ad abitare una casa comune che nel tempo si è fatta affollata di inquilini delle più diverse provenienze e sensibilità con le quali è doveroso imparare a convivere. «Siamo noi europei che abbiamo fatto nascere la libertà religiosa, proprio perché abbiamo combattuto secoli di guerre religiose – conclude Vittorio Berti – Faremmo bene a non dimenticarcene».

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