La scuola come specchio dell’Italia. Due secoli di storie in un viaggio della memoria. Personalità straordinarie uscite dagli archivi. Mario Isnenghi, storico che ha insegnato nelle università di Padova, Torino e Venezia, presidente dell’Istituto veneziano per la Storia della Resistenza, a 87 anni regala un altro saggio di originalità nella ricostruzione della nostra identità nazionale: Autobiografia della scuola. Da De Sanctis a don Milani (Il Mulino, pagine 368, euro 26). «Cercando e ricomponendo i viaggi in Italia di cui è rimasta traccia, riaffiora una storia di diverse generazioni di maestri e professori. Una storia molecolare d’Italia che si delinea, tra dinamiche soggettive e reti precostituite, attraverso le vite e le relazioni degli insegnanti, le amicizie che si creano, i riflessi delle femminile di Matilde Serao. Poi la scuola cambia con la legge Daneo-Credaro: dal 1911 responsabilità, spese e gestione delle scuole elementari pubbliche passano dai Comuni allo Stato. Ma, come ricostruisce il volume di Isnenghi, non cambia per le donne: dal 1877 al 1900 approdano alla laurea solo in 224. Molte immigrate dall’estero, ebree o valdesi. L’autobiografia della scuola combacia con quella della Nazione. Alla ricerca dell’unità, quanto meno fino alla grande guerra. Con Benedetto Croce al centro della scena. Poi arriva il fascismo con il ministro Giovanni Gentile, che nel 1923 riformerà il sistema a beneficio della classe dirigente futura e della lotta all’analfabetismo. Maestri e professori delle medie devono giurare fedeltà al regime. Isnenghi dagli archivi può anche profilare la formazione di Benito Mussolini: «È figlio di una maestra (che sarà anche la maestra di suo figlio tra i 6 e i 9 anni) e di un fabbro illetterato. Studia in due collegi che lo accolgono dai 9 ai 17 anni. Il primo è quello clerico-intransigente, a Faenza, dei Salesiani di don Bosco, riuscendo ripetutamente a farsi cacciare (“è un Franti, il cattivo di Cuore, che si compiace di sé”). Il secondo collegio è pubblico e laico, a Forlimpopoli, diretto dal fratello di Giosuè Carducci, Valfredo, dove riesce a giungere a un diploma di maestro elementare». Con il duce al potere, nel 1931 anche gli atenei sono normalizzati: «Con il giuramento di fedeltà dei professori il fascismo vuole piegarli, annetterli, esibirne l’essere pur essi interni alle sorti e alle dinamiche trasformative del popolo di cui gli accademici si riterrebbero una distaccata élite pensante» evidenzia Isnenghi. Si rifiuteranno soltanto in 12 su oltre 1.200. Spicca il nome di Gaetano De Sanctis, mentre al Bo accettano di giurare Concetto Marchesi («con dolore e vergogna, seguendo l’indicazione di Togliatti») e Giacomo Devoto, professore di Glottologia. Il volume di Isnenghi offre anche un’analisi sullo “smemorato e indulgente dopoguerra”, con la burocrazia che ingessa progressivamente la scuola. Fa eccezione Barbiana: «Qualche volta viene voglia di levarseli di torno, ma se perdiamo i ragazzi più difficili, la scuola non è più scuola: è un ospedale che cura i sani e respinge i malati» ammonisce don Lorenzo Milani. Tuttavia, per lo storico anche il “laboratorio” toscano non è indenne da una dose di misoginia come dalla nostalgia per il nozionismo. La conclusione di Autobiografia della scuola si rivela ancor più caustica e pessimista: «Prima le scuole private vendevano promozioni ai somari espulsi dalla scuola pubblica. Ora si vendono corsi che fanno punteggio per la carriera degli insegnanti – chiude Mario Isnenghi – In questi diplomifici si vendono anche le lauree, apertamente, con tanto di pubblicità in tv e sui giornali. Tra pannolini e noccioline (quelle sì, nazionali, garantite italiane). Si smantella la cultura mettendo da canto la lingua».
Il Veneto registra un miglioramento nella gestione delle domande di mobilità per l’anno scolastico 2025- 2026. Su un totale di 6.022 richieste, il 59,70 per cento: di questi, 2.971 docenti si spostano all’interno, 624 sono i trasferimenti in uscita dal Veneto.