Idee
Il problema è culturale. Che le donne restino indietro nei ruoli più strategici e meglio retribuiti sembra un fatto “naturale”. Come è naturale che le donne, quando necessario, si concentrino sulla cura: dei figli, della casa, degli anziani. Succede, dunque, che dedichino 2,3 volte più tempo degli uomini a queste attività e a quelle domestiche. E la carriera resta al palo. Il paradosso è che le norme antidiscriminatorie ci sono, ma poi non esiste un sistema di monitoraggio e nessuna sanzione.
«Occorre ragionare di mercato del lavoro e non solo delle donne. Servono discorsi integrati sul mondo della produzione e della riproduzione: se questo è solo un onere per chi se ne occupa, le persone ci rinunciano e così la denatalità è arrivata a un livello preoccupante» ha spiegato Raffaella Sarti, docente di storia del genere all’Università di Urbino durante l’evento “Verso gli Stati generali del lavoro femminile” organizzato da Enaip Veneto e Acli provinciali di Padova. L’evento rappresenta il primo passo del progetto Pari “Get- Gender Equality Thinking”, un percorso di ricerca e azione di 18 mesi che, come si legge nella presentazione, “mira a diffondere il pensiero sull’uguaglianza di genere, a rafforzare la partecipazione, permanenza e progressione di carriera delle donne e a promuovere una cultura della parità di genere nei contesti educativi, organizzativi e produttivi, agendo tanto sul piano culturale quanto su quello strutturale”.
I dati confermano, infatti, disuguaglianze persistenti: nel 2024, in Veneto, il tasso di inattività femminile è del 35 per cento (a fronte del 27,5 per cento per gli uomini), e le retribuzioni femminili sono di oltre 20 punti percentuali inferiori. «Pensiamo che il progetto possa servire concretamente per riprendere e rilanciare il tema della parità di genere all’interno delle nostre comunità territoriali e professionali. Nei prossimi mesi sono previste azioni di informazione, formazione ed eventi con i quali coinvolgeremo quanti hanno a cuore il ruolo delle donne nella società» ha dichiarato Laura Chiaia, responsabile dei Servizi al lavoro di Enaip Veneto, che, con Francesco Lazzarin, coordinatore dell’area adulti e imprese della sede di Rovigo, gestirà il progetto.
L’Italia rispetto al gender gap si colloca su posizioni bassissime: nel 2021 gli indicatori la davano al 63° posto, nel 2023 al 79°, nel 2024 all’87°, mentre per la partecipazione economica femminile nel 2021 era al 110° posto su 160 Paesi e oggi al 117° segnando un ulteriore calo. Eppure «l’indipendenza economica è necessaria – ha dichiarato Monica Buson, responsabile del coordinamento donne Acli Padova – Nel 2020 abbiamo perso 440 mila posti di lavoro e il 98 per cento di questi erano di lavoratrici. La donna viene dipinta resiliente, multitasking; Save the children ogni anno pubblica il report Le equilibriste, un titolo emblematico: siamo talmente brave che riusciamo anche a lavorare. Ci laureiamo più dei maschi e con voti migliori, ma quando entriamo nel mondo del lavoro arrivano gli ostacoli e gli stereotipi. All’Unità d’Italia, nel 1861, l’occupazione femminile era al 45 per cento, oggi poco più. Alle donne toccano i lavori di cura, non quelli dove si guadagna di più, e per la cura ci licenziamo, scegliamo il part time, lo smart working che però ci chiude in casa. Se esco mi riconosco come donna in grado di lavorare e decidere per me stessa cosa fare? Forse dovremmo fare come le islandesi che il 24 ottobre di ogni anno scioperano, compresa la prima ministra, per dire che il lavoro delle donne è importante, che se le donne si fermano si ferma uno stato intero. Per uscirne dobbiamo cambiare lo sguardo e guardare le cose da un punto di vista femminile e femminista».
Nella Padova degli anni Settanta le femministe con la sociologa e scrittrice Maria Rosa Dalla Costa ragionavano di garantire un salario al lavoro domestico ma poi la discussione si arenò: non piaceva agli uomini e non piaceva a chi pensa che significhi restare chiusa in casa. Resta allora la scuola, l’istruzione, il buon canale per l’emancipazione e le donne ci provano: le laureate nel 1926 erano il 14,6 per cento, nel 2024 sono il 59,9 per cento degli studenti ma poi, non decollano: «Devono studiare le discipline Stem (Science, Technology, Engineering e Mathematics, ndr) si dice, ma allora chi farebbe i lavori non Stem? – chiede Sarti – Che poi anche questo è un pregiudizio, perché oggi le laureate in ingegneria civile e architettura sono al 49,5 per cento mentre resta bassa l’emancipazione degli uomini: è difficilissimo trovare un maestro d’asilo. Il discorso non sarà mai equilibrato se non si fa capire anche ai bambini che, se hanno voglia di fare scienze della formazione primaria, non devono essere scoraggiati dicendo che è un lavoro per le femmine. Credo che finora la parte maschile sia stata troppo poco coinvolta in questi tentativi di trasformazioni».
È una strada decisamente in salita quella delle donne per superare il gender gap e i dati mostrano un quadro sconfortante: le italiane guadagnano in media il 20 per cento in meno degli uomini, con picchi che superano il 39 per cento in alcuni settori come quello immobiliare e il 35 per cento in quello scientifico e tecnico; solo il 31,3 per cento dei ruoli dirigenziali è occupato da donne, un dato inferiore alla media Ue, e la disparità salariale qui raggiunge il 27,3 per cento. La quota di lavoro part time femminile è più alta della media europea, e supera del 23 per cento quello maschile. La decisione di abbandonare la carriera per le italiane arriva verso i 35 anni, quando si sceglie di diventare madri, e qui, davvero, l’espulsione dal mercato del lavoro diventa prassi. La mancanza di servizi e la disparità dei congedi parentali sono penalizzanti. Tuttavia, un cambiamento culturale sembra avviato: sempre più padri vogliono fare i papà.