Rubrica | I Blog/Terra terra - Antonio Gregolin
Lo scoppio della guerra. L’esagerazione del linguaggio bellico in pandemia
Se la pandemia ci è parsa come la fine di un mondo, oggi il mondo vive la sua possibile fine con il ritorno della guerra.
Se la pandemia ci è parsa come la fine di un mondo, oggi il mondo vive la sua possibile fine con il ritorno della guerra.
Non sono lontani i tempi in cui il linguaggio usato per la pandemia era quello preso a prestito dal mondo bellico: «Siamo in guerra», «la guerra contro il Covid», «bollettino di guerra», ecc. Nulla da togliere alla gravità della situazione vissuta, ma, con l’esperienza diretta e indiretta di una guerra che rischia di travolgere e stravolgere l’intero mondo, oggi ci mostra quanto spropositata e a volte inappropriata sia stata quella tipologia di linguaggio.
Al punto da mostrarci come l’esperienza Covid in cui siamo ancora immersi, ci appare ora emotivamente lontana, scalzata da una “realtà” ben peggiore che stiamo vivendo. Questo perché la guerra è guerra e non l’idea della guerra! Viverla sulla propria pelle è ben diverso che immaginarla o pensarla. Il paradosso che ci butta in uno sconforto d’impotenza è che il tempo pandemico durato due anni (e non ancora concluso) c’ha portato a una graduale maturazione ed elaborazione dell’esperienza di una vita diversa da come la pensavamo.
La guerra in Ucraina invece, è arrivata di botto, in una manciata di ore, con l’invasione di uno Stato sovrano, perpetrata sull’ordine dei minuti che hanno ribaltato la storia e la nostra vita, con una rapidità “inaspettata”. E dire che venivamo dalla pax olimpica assicurata dallo stesso Putin in persona alle Olimpiadi invernali di Pechino, conclusesi domenica 20 febbraio, mentre il giorno seguente la Russia si preparava all’invasione. C’è poi il fattore di percezione del pericolo alla base della nostra etologia sociale e individuale della storia contemporanea, destinato a cambiare con rapidità (mai come oggi) i confini del mondo. Un mondo che ha riportato indietro le lancette di quella storia che volevamo proiettata verso il divenire, che invece è tornata a evocare la più ancestrale delle paure moderne: l’utilizzo della stessa forza nucleare. La narrazione di questi giorni poi, si mostra molto più “convenzionale” di quella “guerra intelligente” che ci era stata propinata durante il conflitto del Golfo (menzogne strategiche a parte).
Paradossale ora pensare all’impiego dei satelliti dal cielo, per poi vedere come la fabbricazione delle bottiglie Molotov – chiamate sarcasticamente dal nome del politico sovietico Vjačeslav Michajlovič Molotov durante la seconda guerra mondiale – stia invece ostacolando uno degli eserciti più potenti del mondo. Con rapidità, siamo passati dallo stato di paura sanitaria, terrorizzati per la nostra salute e quella dei nostri cari, a una paura che oggi ci appare ancor più dilatata e globale che dimostra come il pericolo più grave e grande per l’umanità, siamo sempre noi stessi. Gli uomini contro gli uomini, in quella infinita follia chiamata guerra, letale più ancora del virus che credevamo essere il nemico peggiore dell’umanità. Quando invece la guerra svela altro.