MosaicoRebranding è la parola chiave dell’ultimo anno negli ambienti Opsa. Grazie allo Iusve, ora la comunicazione sta cambiando ed è in linea con i tempi
Il linguaggio della musica, dello spettacolo, della danza e dell’arte diventano protagonisti nella due giorni di eventi e raccontano non solo il mondo Opsa, l’attenzione alle persone con disabilità e ai loro familiari, ma presentano anche la stessa struttura in una luce nuova. È il grande lavoro di rebranding (il cambiamento strategico di una realtà, ndr) che l’Opsa sta facendo, dopo la pandemia, da più di un anno sostenuta dallo Iusve, l’Istituto universitario salesiano Venezia con sede a Mestre. «Sentivamo l’esigenza – spiega don Roberto Ravazzolo, direttore dell’Opsa – di condividere la nostra esperienza e farla diventare oltre che una testimonianza di vicinanza a famiglie in necessità e persone con disabilità che chiedono una assistenza specifica anche un messaggio alla collettività, alla cittadinanza e per arrivare a questo traguardo bisogna usare gli strumenti e le tecniche attuali, aderenti ai tempi che viviamo e così ci siamo messi in cammino. Lo Iusve di Mestre ha accompagnato la struttura in una operazione di rinnovamento che contempla una nuova sensibilità alla tecnica e alle modalità di comunicazione che ci consente di arrivare a un traguardo che da soli non avremmo raggiunto. È stato un percorso di quasi un anno, molto appassionante e coinvolgente che ha aperto orizzonti importanti e che ci consente di trovare poi canali di comunicazione speriamo efficaci». Un processo che ha coinvolto l’intera struttura e l’ha portata ad analizzare le proprie identità e missione, i valori costitutivi, le esperienze maturate, le ricadute sulla collettività. Uno studio approfondito e molto accurato, suddiviso in diverse fasi. Si è partiti dall’analisi del posizionamento dell’Opsa e della percezione che le persone hanno della struttura e dei servizi, una percezione alle volte inconsapevole di cos’è l’Opera. «Abbiamo la responsabilità di raccontare tutta la vita che si respira all’interno dei nostri padiglioni – aggiunge Elisabetta Francescon, assistente della direzione generale dell’Opsa – Certo, ci sono situazioni molto difficili, ospiti in stato vegetativo o con un disturbo del comportamento gravissimo, però questo rimane un luogo di vita, ogni ospite ha un suo progetto di vita e vogliamo condividere tutto questo. Sentivamo inoltre l’esigenza di comunicare cosa facciamo e chi siamo. Anche per dare un segnale alle tante persone che gravitano attorno all’Opsa, ad esempio, i tanti ragazzi che vengono a fare il Pcto, il Percorso per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, che un tempo era l’alternanza scuola lavoro. Ci sembra importante dare loro una continuità di messaggio: dopo aver fatto una bella esperienza di percorso formativo, in cui hanno sviluppato competenze nuove e avviato relazioni importanti fra di loro e con gli ospiti, la domanda che ci siamo posti è come mantenere questa relazione? Questi giovani devono continuare a sentirsi parte dell’Opsa anche dopo, ma questo ci chiede di avere familiarità con il loro linguaggio». Il percorso di rebranding è anche questo. Non è infatti solo un rifacimento del sito, un rinnovamento della grafica e della comunicazione, l’essere più presenti sui canali social o lo studio di un logo nuovo, ma è un percorso che innanzitutto ha coinvolto tutti i responsabili della struttura e che si aggancia poi anche agli spettacoli delle due giornate di dicembre il cui obiettivo è accendere l’attenzione su alcune tematiche. C’è l’attenzione alla forma, ma anche al contenuto, è necessario lanciare dei segnali anche nell’uso corretto della terminologia. Fare cultura e sensibilizzare. «È un dire ci siamo – continua Elisabetta Francescon – dando delle informazioni precise. È un raccontare quello che si fa per contaminare, non certo per mettersi in mostra. È un cambiamento che richiederà ancora del tempo, ma il cammino è ormai avviato e c’è anche una certa attesa e un certo fermento nel personale». Un percorso che ha, per forza di cose, tenuto conto della storia, del passato, ma che volge lo sguardo in avanti. Conservare la tradizione e nello stesso tempo utilizzare un linguaggio comprensibile nel contesto contemporaneo.
È definita Opera della Provvidenza perché è la “Provvidenza” stessa che bussa alla Casa servendosi delle sofferenze e difficoltà dei disabili e delle loro famiglie; diventa provvidenza per le persone accolte e le loro famiglie che trovano una adeguata assistenza che difficilmente riuscirebbero a garantire a casa e vive di provvidenza che si concretizza nelle offerte di benefattori e amici che donano risorse, tempo, disponibilità, professionalità, diventando così strumento di carità e condivisione.
