Storie
Le vie del Signore sono davvero infinite, se può bastare un depliant raccolto casualmente dieci anni fa, alla “Fiera del soco”, per accendere una scintilla vocazionale che porterà alla consacrazione monacale di una donna di 47 anni. Dall’11 settembre scorso sorella Lucia è diventata monaca cistercense del monastero dell’Anastasis di Montegalda.
Se oggi è raro vedere una giovane diventare religiosa, ancora di più lo è nel vederla scegliere la via monastica con una regola di mille anni fa. I numeri sul tema vocazionale sono a picco, e le previsioni rendono l’ordinazione monastica avvenuta a Montegalda, un fatto straordinario, considerando i tempi.
A dimostrare che tutto è possibile, è Lucia Traverso, nativa di Camisano Vicentino, figlia di ristoratori di una delle trattorie storiche del camisanese, la “Moma”, che dopo un percorso di dieci anni e un lungo periodo di prova, ha scelto di consacrarsi a Dio, obbedendo alla regola di Citeaux, adottata dalle monache di diritto diocesano che dal 2000 risiedono stabilmente in quello scampolo di spiritualità che è diventato l’ex-monastero di San Marco di Montegalda. Qui in quel tardo pomeriggio di metà settembre, a stento la piccola chiesetta settecentesca del monastero – già citata dallo scrittore Antonio Fogazzaro e diventata poi patrimonio del marchese Roi, che l’ha donata alla Diocesi di Padova perché la dedicasse a un luogo di preghiera (com’è stato) – ha saputo contenere le decine di amici e parenti accorsi per assistere all’antico rito di consacrazione.
Aria pregna d’incenso, litanie dei santi, cori di monaci benedettini giunti dall’abbazia di Praglia, una processione aperta dalle divise storiche degli Araldi del Vangelo, cui hanno partecipato molti sacerdoti diocesani che accompagnavano il vescovo Claudio Cipolla che chiudeva il corteo. Atmosfera mistica d’altri tempi, per una vocazione moderna che s’ispira all’antico, con il momento culminante dell’imposizione delle mani da parte della superiora madre Angela Brugnaro e la benedizione del vescovo Cipolla, con l’abbraccio comunitario della piccola comunità femminile, composta da cinque monache.
Ma ciò che maggiormente colpisce, è la dinamica con cui la monaca è arrivata alla vocazione: «Tutti credono che una vocazione sia frutto di una visione chiara e immediata. Direi quasi di una “folgorazione”. Questo proprio non è accaduto a me, anzi… Quando ero nel mondo, guardavo con distacco preti e suore, senza approfondire o capire la loro scelta di vita», racconta la monaca il giorno dopo, ancora pregna dell’emozione della consacrazione che l’ha vista protagonista.
«Non posso dire che allora fossi atea, ma certamente non ero quella credente che uno si aspetterebbe da una monaca. Non praticavo la Chiesa, pur avendo uno zio prete di 91 anni di Milano, presente alla cerimonia, fratello di mia mamma, e alcuni famigliari che hanno fatto anche scelte diverse in termini religiosi. Ero una ragazza normale, con un fidanzato e un impiego lavorativo nel ristorante di famiglia davvero tosto. Non senza quelle distrazioni e passioni giovanili, come chiunque».
«A tutto pensavo – dichiara la monaca – fuorché immaginarmi un giorno con l’abito e dentro un monastero. Invece, eccomi qua! Confesso di essere ancora incredula sulla creatività con cui Dio si propone a noi, nelle forme più inimmaginabili e curiose».
Alla domanda che suona strano che in tempi moderni come i nostri iperconnessi, qualcuno scelga di abbracciare uno stile di vita tanto antico risponde così: «è una domanda che mi sono sentita fare spesso in questi anni di formazione – afferma sorella Lucia – senza escludere i miei famigliari e amici che cercavano di capire loro stessi prima di me, quali fossero i motivi di una decisione così radicale. Ci sono domande però alle quali, se non dai una risposta, ti tormentano per tutta la vita. Una di queste fu quando una mia amica decise di diventare suora comboniana. A questo punto credo che ci sia stata una “spinta da parte della Madonna”, che ha scelto proprio la “Fiera del soco”, per mandarmi uno stimolo e spingermi fin qua!».
Quando parla di “fFiera del soco” intende proprio la grande sagra popolare di Grisignano del Zocco: «Sì, proprio quella, dove trovi di tutto, come vuole il motto, fuorché la vocazione! In realtà, contro ogni immaginazione, il seme della mia vocazione è stato messo proprio là, raccogliendo per sbaglio un depliant che spiegava cosa fosse il monastero dell’Anastasis di Montegalda».
Così, se per i più la vocazione resta una misteriosa scelta, il sorriso contagioso di sorella Lucia fa immaginare che tra le mura di un monastero possa ancora esserci la felicità.

«Da quando sono entrata in contatto con il monastero, ho compreso quanto poco sappiamo sul mondo di monaci e monache, visti spesso come mondi lontani e distaccati – afferma Lucia Traverso – Se oggi dico a un mio coetaneo che il monastero è un canale aperto verso cui salgono le preghiere e scendono le benedizioni, questo mi guarda storto. Perché il mondo si ostina a non vedere oltre il muro».
“Vocazione”, una parola quasi avulsa dal linguaggio giovanile. Ma è bastato un depliant raccolto per caso davanti al banchetto gestito dalle monache cistercensi alla “Fiera del soco”, per cambiare la vita a Lucia. Quel pieghevole rimase per due anni davanti al computer di lavoro di Lucia Traverso nel ristorante di casa: «Ogni volta che lo spostavo, qualcosa si muoveva dentro di me, ma non sapevo cosa mi turbasse. Poi una serie di coincidenze. Un viaggio a Medjugorje; la decisione di passare qualche giorno, poi una settimana e poi dei mesi nel monastero dell’Anastasis di Montegalda. Oggi sono monaca e sono felice».