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Mappe IconMappe | Mappe 10 – La montagna – novembre 2022

martedì 15 Novembre 2022

Marmolada in bilico. Il ghiacciaio sta morendo, ma non bisogna continuare a lottare

Il ghiacciaio è morente, ma questo non deve impedire di riadattare le abitudini dell’uomo. Anche quelle turistiche

Rossana Certini
Rossana Certini
collaboratrice

Una tragedia più che annunciata. Questa è stata per molti la valanga di neve, ghiaccio e roccia provocata dal distacco dalla calotta sommitale del ghiacciaio della Marmolada che nel primo pomeriggio del 3 luglio scorso è costata la vita a undici persone. Per anni, infatti, sono caduti nel vuoto gli avvertimenti di climatologi, glaciologi e associazioniambientaliste che segnalavano come l’aumento delle temperature stesse accelerando la fusione del ghiacciaio. «I 300 mila metri cubi, stimati dalla provincia di Trento, che sono caduti a luglio – spiega Mauro Varotto, professore associato del dipartimento di Scienze storiche geografiche e dell’antichità dell’Università di Padova – sono all’incirca l’1 per cento del volume del ghiacciaio. Mediamente la Marmolada perde all’anno un milione di metri cubi di ghiaccio. Dunque, quest’unico episodio eccezionale ha buttato giù un terzo del volume di fusione dell’intera annata. Da sottolineare però che ogni anno per fusione se ne vanno silenziosamente tre valanghe di questo tipo, senza che faccia quasi notizia».

Il ghiacciaio della Marmolada, il più esteso delle Dolomiti e uno dei più studiati delle Alpi, è morente. Ma se questa è storia dolorosamente nota lo è meno quel che è accaduto dopo la valanga. Da quattro mesi, la zona è inaccessibile. Il divieto si deve all’ordinanza firmata, subito dopo la tragedia, dal sindaco di Canazei Giovanni Bernard, che impedisce l’accesso al versante nord del massiccio, compresa Forcella Marmolada e i numerosi sentieri che portano verso il ghiacciaio. «Si sta uccidendo l’economia di questo luogo – spiega Guido Trevisan, storico gestore del rifugio Pian deiFiacconi che si trovava a 2.626 metri di quota – È un territorio che fonda la sua sussistenza sul turismo che, bisogna ammettere, è anche poco invasivo in questa zona accessibile prevalentemente a piedi. Chiudere i rifugi per tutto questo tempo ha comportato seri danni economici alla gente del posto». Trevisan quella domenica di luglioaveva già lasciato la Marmolada da alcuni mesi perché il suo rifugio era stato spazzato via da un’imponente valanga nel mese di dicembre del 2020 ma dopo vent’anni trascorsi sulla Regina delle Dolomiti, ricorda che «la montagna è viva. Distacchi di rocce, valanghe, frane accadono ovunque e costantemente. La furia che ha distrutto il Pian dei Fiacconi se fosse scesa in un altro momento avrebbe fatto decine, se non centinaia, di morti. Ma della valanga che ha travolto il mio rifugio in pochi ne hanno parlato perché, per fortuna, non è stata una tragedia in termini di vite umane. Quello che voglio dire è che non è possibile accendere i riflettori sulla montagna solo se il disastro supera una determinata soglia. Non si può fermare il turismo, bloccare un’economia ma bisogna cambiare direzione e adattare le nostre abitudini all’ambiente in cui viviamo anziché cercare di adattare la natura a nostro piacimento».

In tal senso la storia della Marmolada è emblematica. Fino a qualche tempo fa le province di Trento e di Belluno si sono contese il massiccio, tra i Comuni di Canazei in Val di Fassa e Rocca Pietore in Val Pettorina. A luglio 2018, l’Agenzia del territorio di Roma ha ripristinato il confine storico risalente al 1911, confermando il decreto presidenzialefirmato da Sandro Pertini nel 1982 che stabilisce che la Marmolada appartiene interamente al Trentino. Ma la tregua tra le due province non è ancora arrivata. Prima della tragedia di luglio era ancora aperta la delicata questione della costruzione di nuovi impianti di risalita e l’accordo tra i sindaci dei Comuni interessati di entrambe le Regioni, gli impiantisti e gli albergatori non era facile da trovare. Intanto la Provincia di Belluno ha lanciato l’allarme: l’impianto di risalita che ha testa in Veneto arriva su piste che ricadono in territorio trentino e, se il permesso di aprirle agli sciatori non dovesse arrivare al più presto, ci sarebbero danni economici enormi. Uno spiraglio arriva dalla Provincia di Trento che dal 18 novembre ha eliminato l’interdizione consentendo di preparare le piste in tempo per la stagione. «Sul ghiacciaio – conclude Mauro Varotto – si confrontano attualmente due visioni diverse dell’economia di montagna, di turismo e di rapporti con l’ambiente alpino: da un lato la visione business as usual (tutto come al solito, ndr) di chi continua a investire su impianti di risalita e piste da sci, sempre più dipendenti da sistemi di protezione o innevamento artificiale; dall’altra chi ritiene che questo modello economico sia ormai insostenibile e auspica che le politiche e gli investimenti seguano nuove direzioni». Oggi la crisi del ghiacciaio può essere l’occasione per avviare un modello di fruizione della montagna meno impattante che esuli dalle logiche dei grandi numeri e del sovraffollamento favorito da impianti di risalita sempre più capaci e veloci, puntando su un turismo lento, stagionalmente distribuito, che faccia propri gli obiettivi di valorizzazione del patrimonio culturale, di sostenibilità climatica e di rispetto dell’ambiente».

Le campagne glaciologiche partecipate

Il Museo di geografia dell’Università di Padova nel 2019 ha trasformato l’annuale campagna di misura del ghiacciaio inun momento di formazione e comunicazione aperto alla partecipazione pubblica, inaugurando la prima esperienza di “campagna glaciologica” partecipata a livello nazionale. L’edizione del 2022 si è svolta il 27 e il 28 agosto ed è stata un trekking in quattro tappe lungo il sentiero che collega Passo Padòn a Porta Vescovo e ha visto il coinvolgimento di esperti e studiosi che attraverso interventi di circa 20 minuti hanno coinvolto i partecipanti in un amplia riflessione sul futuro della Marmolada.

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