“Ucciso a Goma per aver bloccato il passaggio di generi alimentari deteriorati, che avrebbero danneggiato la salute della gente. In quanto cristiano, pregò, pensò agli altri e scelse di essere onesto, dicendo no alla sporcizia della corruzione. Questo è mantenere le mani pulite, mentre le mani che trafficano soldi si sporcano di sangue”. Così papa Leone XIV ha ricordato la figura di Floribert Bwana Chui, martire, beatificato lo scorso 15 giugno nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma.
La storia di Floribert dice che forse, per la prima volta, il fattore corruzione entra in maniera preponderante nel riconoscimento del martirio. Il non essersi lasciato corrompere, infatti, è un fattore decisivo rispetto alla sua morte. Ne abbiamo parlato con don Carmelo Pellegrino, biblista, docente presso la Facoltà di Teologia del “Collegium Maximum” della Pontificia Università Gregoriana e già Promotore della Fede al Dicastero per le Cause dei Santi.
Quali e quanti sono i requisiti canonici necessari per decretare il martirio?
I requisiti canonici del martirio sono tre. “Anzitutto – spiega don Carmelo Pellegrino – è necessario ravvisare l’elemento materiale, costituito dall’uccisione o dalla persecuzione perpetrata da un carnefice fino a causare la morte del martire, ad esempio con gli stenti della detenzione o dell’esilio. Un secondo requisito è l’odium fidei, cioè l’avversione del carnefice alla fede del martire oppure a un’altra virtù o condotta correlata con la sua fede cristiana. Infine, bisogna sia presente la disposizione martiriale della vittima, che affronta la persecuzione letale nell’amore a Dio e al prossimo”.
Per don Pellegrino c’è una “notevole varietà nelle vicende martiriali, che però riflettono sempre questi tre elementi. Ad esempio, l’odio può colpire la castità quale espressione della fede, come nel caso della dodicenne S. Maria Goretti che, durante il prolungato stalking del Serenelli, si opponeva protestando contro questo ‘grave peccato che Dio non vuole e che conduce all’inferno’. Talvolta risultano anche espressioni di perdono del martire, come nel caso della stessa Goretti e di S. Tito Brandsma. Internato a Dachau, Brandsma fu ucciso da un’iniezione letale ma poco prima di morire donò il proprio Rosario all’infermiera nazista che lo stava ammazzando. La donna gli disse di non saper pregare ma il martire le rispose che le sarebbe bastato dire: ‘Prega per noi peccatori’. Fu poi lei, convertita, a rendere questa testimonianza”.
La Chiesa ha riconosciuto il martirio del beato Floribert Bwana Chui “in odio alla fede” opponendosi ad un tentativo di corruzione. Che significa?
Non conosco gli Atti dell’Inchiesta riguardante il beato Floribert Bwana Chui, ma la dichiarazione del martirio suppone che sia stato ravvisato l’odium fidei nell’avversione anticristiana alla sua onestà, ancor più che come valore condiviso, quale espressione della sua fede. ‘Martire’ significa testimone di Cristo, nel martirio dei cristiani rivive la Pasqua. Il potere delle tenebre vuole estromettere Dio dall’umanità ma è vinto dal Crocifisso-Risorto che per amore accoglie il male trasformandolo in salvezza. La Donna dell’Apocalisse, perseguitata dal drago infernale ma protetta da Dio, tra reminiscenze mariane rappresenta la Chiesa che nelle doglie della Passione partorisce il Risorto; le appartengono quanti hanno vinto l’Accusatore grazie al sangue dell’Agnello e alla parola della loro “testimonianza”, mettendo in gioco la vita “fino a morire” (Ap 12,11).
Come possiamo spiegare il martirio che avviene in seguito al rifiuto di un atto di corruzione?
La corruzione piega l’uomo al culto del denaro e del potere, il cristiano la rifiuta perché non può servire due padroni, cioè Dio e la ricchezza (Lc 16,13). Questo può scatenare la reazione omicida di chi odia in quella condotta un’espressione di fedeltà al Vangelo. Recentemente è stato beatificato il martire Rosario Livatino, giovane magistrato. Era ben conosciuto per la sua fede cristiana che lo rendeva incorruttibile. Precisamente per questo motivo era inviso ai mafiosi, i quali lo chiamavano con disprezzo “santocchio” (bigotto). Queste informazioni emersero durante il processo penale, quindi persino al di fuori dell’accertamento canonico: i malavitosi rivelarono che, siccome Livatino andava in chiesa tutti i giorni, era impossibile corromperlo per ottenere sentenze favorevoli e per questo avevano deciso di eliminarlo. Tutto ciò fu confermato dall’Inchiesta canonica, che conteneva anche le dichiarazioni in tal senso di uno dei carnefici. La giustizia di Livatino era odiata come espressione della sua fede cristiana e oggi è fonte di ispirazione evangelica per tanti giuristi e magistrati.
Ci sono casi analoghi di beati e santi considerati “incorruttibili”?
Ogni martire testimonia la sequela di Gesù che non si piega a lusinghe di nessun genere. Durante la “Cristiada” messicana, i carcerieri del giovane martire S. José Sánchez del Río lo blandirono con proposte allettanti per farlo passare dalla loro parte, ma il ragazzo rifiutò con fermezza. Allora ottennero dalla sua famiglia un riscatto ma, anziché liberarlo, trattennero il denaro pur mandandolo a morte; Joselito aveva ripetutamente chiesto ai genitori di non pagare perché aveva già offerto la sua vita a Dio e la sua fede non era in vendita. Per indurlo ad apostatare, i carnefici lo torturarono scorticandogli i piedi e costringendolo a camminare fino al cimitero, dove fu pugnalato per evitare che si sentissero gli spari. Prima che spirasse, il capo degli assassini gli chiese cinicamente se volesse mandare un messaggio a suo padre. Con l’ultimo filo di voce, il ragazzo rispose: “Ci vedremo in Paradiso. Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe!”. E gli spararono in testa. Non aveva ancora compiuto 15 anni”.