Il 17 novembre 1869, 156 anni fa, veniva inaugurato il Canale di Suez. Realizzato dal francese Ferdinand de Lesseps, ricalcando il progetto dell’italiano Luigi Negrelli, a sua volta ispirato da un progetto della Serenissima Repubblica di Venezia, univa il Mediterraneo al Mar Rosso, e da lì apriva la strada verso l’Asia. Nella immaginazione popolare doveva servire ad avvicinare le persone, creare prosperità, e pacificare una regione da sempre scossa da violenze e fragili alleanze.
Oggi, siamo ancora qui a disquisire sulle ragioni delle tensioni, dell’andamento di guerre e alleanze improbabili. Negli ultimi mesi, l’attenzione si è fissata sul conflitto Israele-Palestina. Dopo la firma della tregua, pochi si accorgono di come il conflitto sia ben lontano dall’essere concluso. Israele sembra uscirne vittorioso, ma dovrà fare i conti con l’astio, se non odio, che dura da generazioni. Questo sia da parte palestinese – migliaia di morti innocenti – che da quella israeliana – migliaia di cittadini che non concordano con la politica del governo e che vorrebbero vivere in pace, senza la continua paura di attentati.
Non da meno sono i palestinesi. Non tutti sanno che l’esercito israeliano si è avvalso del sostegno e dell’intelligence di gruppi palestinesi nemici di Hamas. Dalla firma della tregue, Hamas ha iniziato una politica di eradicazione di questi clan. Lo ha fatto con esecuzioni pubbliche dei “traditori”, e continua con una caccia casa per casa, specialmente nell’area di Khan Yunis e tra i sostenitori del Jeshi al Islam, gruppo fondamentalista avversario di Hamas. Le divisioni interne ai palestinesi non sembrano favorire la pace.
E che dire dell’Iran. Israele ha distrutto le sue installazioni militari importanti. Soprattutto ha disintegrato le improbabili alleanze tessute da Teheran. L’Iran sosteneva Hamas e ha perso. Israele è riuscito pure a dare un colpo di grazia agli Huti dello Yemen, riforniti di armi da Teheran. L’Iran ne esce ridimensionato nella sua pretesa di gestire la politica islamica nell’area del Golfo.
Questo ruolo passerà a chi? Spunta la Turchia, che ormai controlla buona parte della Siria e aspira a ricostituire l’impero ottomano, almeno come area di influenza politica. Non è da meno l’Egitto del generale Abdel Fattah al-Sisi. L’Egitto vanta un interesse storico sulla striscia di Gaza. Non ha sostenuto Hamas, una spina sul fianco per l’Egitto che la considera una germoglio bacato dei Fratelli Musulmani, gruppo islamico inviso ai militari egiziani. L’Egitto ha però avuto un ruolo chiave per raggiungere il cessate il fuoco con Israele, e continua ad avere un ruolo importante in seno alla Lega araba, presieduta dall’ambasciatore egiziano Ahmed Aboul Gheit.
Si fanno sentire anche l’Arabia Saudita e gli emirati del Golfo. Queste due forze già si stanno misurando in Sudan, con una guerra per procura per il controllo degli ingenti depositi minerari di quel paese. Uno scontro per il controllo politico del Medio Oriente deve essere considerato molto probabile.
L’unica profezia che possiamo fare è che la pace non scenderà presto in questa regione.