Chiesa
“Svegliare il mondo” e “ritornare al cuore”: due immagini forti che Leone XIV ha consegnato ai consacrati nel Giubileo della vita consacrata e che oggi risuonano come un programma di vita. Per suor Simona Brambilla, prefetta del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, la vita consacrata è chiamata a custodire la speranza, a coltivare la sinodalità e a rigenerare i carismi come sorgenti di fraternità.
Qual è oggi il segno più eloquente che la vita consacrata può offrire al mondo?
“Svegliare il mondo”: è un’espressione di Papa Francesco che Papa Leone ha rilanciato all’inizio del suo discorso ai consacrati e alle consacrate. Il verbo svegliare rimanda all’atteggiamento di chi aiuta a riprendere i sensi: si tratta di una espressione di cura, di chi si adopera perché i sensi umani, non solo esteriori ma anche interiori, possano aprirsi, riattivarsi, liberarsi da ciò che li può spegnere o intorpidire.
Che cosa significa, per i consacrati, “svegliare e vegliare”?
Papa Leone, in chiusura del suo discorso, ha anche richiamato un’altra espressione di Papa Francesco: “scrutate gli orizzonti della vostra vita e del momento attuale in vigile veglia”. Ecco, al verbo svegliare si aggiunge il vegliare. Credo che questi due verbi ci possano aiutare a mettere a fuoco una dimensione importante della vita consacrata: la recettività al movimento dello Spirito in sé stessi, negli altri, nella realtà, nella storia. Il discernere, intercettare e seguire questo movimento, questa danza dello Spirito.
Come tradurre tutto questo in gesti concreti di presenza e vicinanza?
Un segno che la vita consacrata è chiamata a offrire credo sia quello di una attenzione profonda: di un ascolto attivissimo e umile che sa cogliere il sussurro o l’urlo silenzioso, il detto e il non detto; che sa decifrare la nostalgia o l’invocazione dentro il grido, la confusione, il trambusto; che sa cogliere i desideri più profondi che abitano il cuore della persona e offrire uno spazio sicuro perché tutto questo si possa articolare e dirsi.
È il segno di una presenza che accompagna con rispetto e fedeltà, perché, come per i discepoli di Emmaus, nell’incontro col Signore il cuore possa riaccendersi e muoversi verso il Bene, verso l’Amore.
Come si custodiscono oggi le “radici” dei carismi?
Papa Leone, nell’omelia della messa del Giubileo della vita consacrata, il 9 ottobre, ci ha consegnato, tra le altre, anche l’immagine dell’albero che diffonde nel mondo l’ossigeno. Mi sembra importante che nella vita consacrata si creino spazi e percorsi per coltivare sia le radici che i germogli dell’albero. Spazi e percorsi di memoria grata, di narrazione della storia di ogni istituto o società di vita apostolica, di rivisitazione dell’esperienza del carisma, delle figure che lo hanno incarnato in modo particolarmente luminoso e fecondo, del flusso di santità che percorre il corpo dell’istituto o società;
come pure delle fatiche, delle difficoltà e delle ferite che questo corpo vivo ha sperimentato e sperimenta.
Tutto questo può aiutare a individuare e curare le radici affinché affondino sempre di più nel sano terreno del carisma e, proprio per questo, siano in grado di sostenere l’albero oggi, permettendogli di nutrirsi di linfa sempre nuova e fresca, di interagire con l’ambiente e di dare vita a germogli nuovi che diffondano l’ossigeno di cui oggi il mondo ha bisogno.
E cosa significa “ritornare al cuore” senza restare nel passato?
Tornare al cuore è tornare al centro, alla scaturigine della vita, al Dna spirituale, alla ragione profonda per la quale una famiglia di consacrati e consacrate è nel mondo. Non significa tornare indietro, ma immergersi nell’essenza, nell’originalità del carisma, perché la forza viva di questo dono dello Spirito ci rilanci “in uscita”, oggi.
Chi è suor Simona Brambilla
Missionaria della Consolata, nata a Monza, è la nuova prefetta del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Psicologa, già docente alla Pontificia Università Gregoriana, è stata superiora generale delle Suore Missionarie della Consolata dal 2011 al 2023 e successivamente segretaria dello stesso Dicastero.
Come coniugare la profezia con la fedeltà a Cristo?
La profezia non è altro che trasparenza: trasparenza di Cristo. Il profeta o la profetessa è qualcuno che è libero da ciò che non è Amore, da ciò che non viene da Dio. In questo lasciarsi purificare e attraversare dalla luce di Cristo, nudi e disarmati da ogni brama di grandezza o di potere, possiamo diventare sensibilissimi al grido di ogni “ultimo” ed escluso, alla connessione profonda che lega tutti gli esseri viventi nella stessa casa comune, ai vincoli sacri che ci uniscono come fratelli e sorelle in umanità.
Che cosa significa essere “esperti di sinodalità”?
Papa Leone ha affidato alla vita consacrata in modo speciale quel “domestico dialogo” che può rinnovare il corpo di Cristo nelle relazioni, nei processi, nei metodi.
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ci ha chiesto di lavorare a diventare, giorno per giorno, sempre più “esperti di sinodalità”. Si tratta di un cammino di trasformazione.
Come ha ricordato il card. Grech, “la sinodalità non si insegna, si contagia”. È un modo di essere Chiesa che si sente dentro, nel cuore e nell’anima, e che tracima nei gesti, nelle parole, nei pensieri, nel modo di porsi in relazione con gli altri e con la realtà.
Da dove si comincia per vivere questa conversione sinodale?
Dall’ascolto. Da quell’attenzione profonda di cui parlavo prima, nella consapevolezza che l’altro ha molto da rivelarmi e che lo Spirito può parlare attraverso chiunque. La vita consacrata possiede una ricca tradizione di sinodalità, iscritta nel suo stesso Dna. Oggi è indispensabile riscoprirla, lasciandoci contagiare dal Vangelo e vaccinare contro ogni rigidità, prepotenza o abuso della dignità di ogni creatura.
Che cosa significa guardare al futuro con fiducia?
Papa Leone, riprendendo le parole di Papa Francesco, ci ha incoraggiato a non fondare la nostra speranza sui numeri o sulle opere ma su Colui nel quale abbiamo posto la fiducia e per il quale “nulla è impossibile”.
Come leggere in chiave evangelica la piccolezza e la diminuzione delle comunità?
Credo che una sfida odierna e futura sia proprio quella di leggere la piccolezza, la diminuzione, la fragilità in modo sapienziale. Spesso si tende a vederle come un segno negativo.
ma Dio si è fatto piccolo per stare con noi: piccolissimo, fino a incarnarsi nel grembo di una donna, a lasciarsi da lei nutrire, allevare, educare.
“Lo Spirito sceglie il piccolo, sempre”, ricordava Papa Francesco, perché “non può entrare nel grande, nel superbo, nell’autosufficiente”.
Può la piccolezza diventare una via di libertà per la vita consacrata?
Sì, la conversione del cuore alla piccolezza, letta come benedizione, può liberare la vita consacrata da logiche mondane, rendendola presenza profetica, simile a quella di Simeone e di Anna: capaci di riconoscere con commozione – e di riproporre oggi – la forza umile e regale dell’Amore di Dio che si manifesta in segni poveri, fragili, come un bambino nelle braccia della madre, come un chicco di grano che muore per portare frutto, come un pane spezzato per la vita di tutti.