Fatti
Migrazioni. L’Europa rimane fortezza
Non solo il Mediterraneo. L’altro accesso al Vecchio continente è la rotta dei Balcani. Una trappola in inverno e un traffico da oltre 50 milioni di euro l’anno
FattiNon solo il Mediterraneo. L’altro accesso al Vecchio continente è la rotta dei Balcani. Una trappola in inverno e un traffico da oltre 50 milioni di euro l’anno
Le foibe del Mediterraneo inghiottono sempre un’onda di disperazione. A terra, l’altro esodo infinito mette in gioco altre vite. È la “rotta” dei Balcani, aperta sei anni fa con la biblica fuga dalla Siria. In inverno una trappola spietata fra i confini dell’ex Jugoslavia. Quest’estate con una nuova “emergenza” più a est.
Almeno una trentina di casi, per un totale di 671 persone coinvolte, sono stati documentati da Border Violence Monitoring Network, una rete indipendente di informazione basata nei Balcani. Chi s’incammina verso il cuore dell’Europa rischia di tutto. Il 4 marzo un gruppo è entrato in un campo minato non segnalato: un morto, gli altri fermati dalla polizia croata. A Valche Pole, sul confine greco-bulgaro, decine di migranti sono stati spogliati di averi e documenti, consegnati alla polizia greca che li ha poi abbandonati al loro destino in Turchia.
Mercoledì 30 giugno, Deni Odobasic, assistente senior della procura del cantone Una-Sana in Bosnia ed Erzegovina, ha confermato che il cadavere del migrante senza identità, trovato nel campo di accoglienza temporaneo a Lipa, è frutto di un suicidio. Il giorno dopo papa Francesco ha offerto una donazione personale allo stesso campo. Due spazi polifunzionali, mense formato famiglia e sale per i minori: la realizzazione è stata avviata dal nunzio apostolico in Bosnia Erzegovina, mons. Luigi Pezzuto, e conta sulla Caritas diocesana di Banja Luka, sulla Caritas ambrosiana e sull’ong delle Acli, l’Istituto pace Sviluppo innovazione.
L’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa ha pubblicato il dossier della Global Initiative Against Transnational Organised Crime, una rete su scala mondiale contro la criminalità organizzata transnazionale: «È evidente la connivenza della polizia bosniaco-erzegovese con i trafficanti di migranti – sottolinea Anesa Agović di Global Initiative intervistata da Articolo21 – È un “mercato” che raggiunge un volume di affari di circa 50 milioni di euro all’anno». In 88 pagine ci si focalizza sulla rotta balcanica: Walter Kemp, Kristina Amerhauser e Ruggero Scaturro spiegano che Salonicco è uno dei principali “snodi”, mentre il riciclo del denaro avviene nella ristorazione, nelle pompe di benzina, nelle compagnie dei taxi e nei negozi di ortofrutta.
Nonostante la pandemia, i flussi (soprattutto da Siria e Afghanistan) sono cresciuti: soltanto la Serbia ha respinto 8.500 migranti approdati dalla Macedonia del Nord. Ma è il cantone di Una-Sana il crocevia più frequentato: un “passaggio” dalla Repubblica Srpska a Sarajevo costa 200 euro a persona, la stessa cifra che i migranti pagano per raggiungere il confine ungherese dalla Serbia.
Dai porti del Montenegro gli scafisti pretendono 5-6 mila euro a persona per uno sbarco sulle coste italiane. È il business parallelo alla droga: Presevo Valley interseca i trasporti da Kosovo, Macedonia e Bulgaria. Velilki Trnovac è nota come “città della droga”; Presevo e Bujanovac sono magazzini-chiave; a Vranje operano bande criminali consolidate.
Il regime bielorusso di Aljaksandr Lukashenka ha, di fatto, smesso di sorvegliare i 700 chilometri di confine con la Lituania. Ha aperto la via d’ingresso all’Unione europea per i migranti iracheni. Nelle ultime settimane, i voli diretti Baghdad-Minsk sono diventati quattro a settimana. E un ben congegnato sistema di trasporto copre i meno di 300 chilometri fino alla frontiera di Kamenny Log in Bielorussia. Una sorta di duplice ricatto. All’Europa che difende i diritti civili e al governo di Vilnius che ospita i dissidenti.
I fixer sono coloro che trasportano i migranti con taxi abusivi o con camion; i gatekeeper, invece, gestiscono l’attraversamento dei confini; mentre i packcage dealer organizzano e gestiscono il traffico, un’attività che richiede una pianificazione sofisticata, procurano ai migranti i documenti di viaggio e servizi di trasporto. Spicca la statistica delle richieste di asilo presentate nel 2020: in Albania 11.971, in Bosnia 16.211, in Kosovo 1.910, in Montenegro 2.898, nella Macedonia del Nord 41.257 e in Serbia 39.648.
Condizioni disperate Respingimenti illegali, bambini vittime di autolesionismo, condizioni igieniche assenti e violenze. È la non-vita dei profughi nelle terre greche
Sigillati dal filo spinato, davanti al mar Egeo. A Mavrovouni, tendopoli nell’ex base militare greca, la vita è un inferno come a Moria, il mega-campo profughi distrutto dall’incendio a settembre.
Sono oltre 6.800 gli “ospiti” nell’isola di Lesbo. Sopravvivono in condizioni igieniche pessime, per di più con l’incubo Covid. Un quarto sono donne, esposte a molestie e violenze, quasi tremila sono bambini e il 70 per cento dei minori ha meno di 12 anni. Il governo di Atene ha chiuso da tempo le strutture di Kara Tepe e del Pikpa, mettendo sulla strada i più vulnerabili. Di più: d’intesa con la Turchia nel braccio di mare i gommoni dei migranti sono “assaltati” dalle motovedette.
I più elementari diritti umani sono negati. Il rapporto di Medici Senza Frontiere parla chiaro: «Il modello degli hotspot voluto dall’Unione europea è progettato non solo per elaborare le domande di asilo dei migranti, ma anche per scoraggiare altri a cercare sicurezza in Europa». Iorgos Karagiannis, capomissione di Msf in Grecia, elenca: 180 mila persone transitate nelle isole greche dalla firma dell’accordo Ue-Turchia nel marzo 2016; 847 morti nel tentativo di raggiungere la Grecia; 21 hanno perso la vita negli hotspot. Le cliniche di salute mentale di Msf a Chios, Lesbo e Samos hanno curato 1.369 pazienti, molti in gravi condizioni. Più di 180 hanno avuto episodi di autolesionismo o tentato il suicidio: due terzi erano bambini.
E Paolo Pezzati, policy advisor (consigliere politico) per la crisi migratoria di Oxfam Italia, denuncia lo scandalo di Megal Therma, nel quale le persone dovrebbero stare in quarantena per 14 giorni, ma il tempo può raddoppiare senza ragione: «Questo è il campo destinato alla quarantena. Tredici migranti, incluse una donna incinta e famiglie con bambini piccoli, sono stati bastonati da quattro uomini con uniformi non identificate, privati dei loro beni prima di essere respinte verso la Turchia a bordo di zattere di fortuna».
Il Consiglio europeo, riunito a Bruxelles lo scorso 25 giugno, ha di fatto rimandato, ancora una volta, la risposta alla crisi migratoria. Nelle conclusioni del summit si legge che i capi di Stato e di governo dei ventisette Paesi membri hanno «discusso della situazione migratoria lungo le varie rotte. Sebbene le misure adottate dall’Ue e dagli Stati membri abbiano ridotto negli ultimi anni i flussi irregolari complessivi, gli sviluppi su alcune rotte destano grave preoccupazione e richiedono una vigilanza costante e azioni urgenti».
Al fine di «scongiurare la perdita di vite umane e ridurre la pressione alle frontiere europee saranno intensificati, quale parte integrante dell’azione esterna dell’Unione europea, i partenariati e la cooperazione reciprocamente vantaggiosi con i Paesi di origine e di transito».
Nessun impegno è stato promesso per sostenere i Paesi di arrivo, adottando misure obbligatorie di ridistribuzione dei migranti. Un argomento che Mario Draghi e Pedro Sanchez avrebbero voluto discutere nell’agenda di quest’ultimo vertice. Appuntamento, dunque, ora in autunno.