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Mappe IconMappe | Mappe 10 – La montagna – novembre 2022

martedì 15 Novembre 2022

Montagna. Le persone in alta quota sono sempre meno e più anziane

Le persone in alta quota sono sempre meno e più anziane. Eppure i piccoli borghi subiscono una narrazione irreale che grava sulle spalle di chi rimane

Gianluca Salmaso

L’ Italia è un grande arcipelago di piccoli centri, paesi e borghi. Uno più bello dell’altro ma tutti accomunati da problematiche comuni: marginalità sociale, abbandono e spopolamento. È il paradosso di una stagione in cui tutto ciò che è remoto, sperduto, viene idealizzato e assurge a una celebrità mondiale grazie a Instagram ma questo finisce per incidere meno di quanto pensiamo sulla vita di chi quei luoghi li abita per un tempo più lungo della durata di una storia sui social. «I paesi sono luoghi di grande cultura ma sono anche luoghi marginali che stanno affrontando un’emergenza – spiega Anna Rizzo, antropologa culturale – Sta scomparendo un’Italia di cui non avremo più memoria, che non potremo riascoltare».

I conti con la storiaLa narrazione che in questi anni ha preso piede attorno ai piccoli centri ha creato mostri: dietro all’idealizzazione di una vita più sana, lenta, spesso si tendono a nascondere le difficoltà che poi sono il prezzo di quella lentezza come la carenza di servizi, di opportunità di studio e di lavoro. «Il paradosso è che in questi paesi ci sono case sfitte e seconde case con finti abitanti che però vengono contabilizzati e che votano solo se ravvisano un interesse sulle loro proprietà – continua Anna Rizzo che con il suo saggio I paesi invisibili edito da il Saggiatore ha tracciato un quadro di rara onestà delle aree interne – Paesi di fatto vuoti ma con dei bambini e dei ragazzi che crescono senza avere un confronto con i loro coetanei e rimanendo incastrati tra il telefonino e il computer, sognando di vivere una vita urbana più cosmopolita». Vivere nei piccoli centri è faticoso, soprattutto per i giovani a cui viene chiesto di lavorare, fare famiglia e al tempo stesso tenere in vita ciò che è stato: un passato idealizzato che vive soprattutto nei ricordi di chi se n’è andato. «Si pensa che colori i quali rimangono in paese siano i tutori della tradizione – chiosa Rizzo – È come se vivessero uno sfasamento temporale: da una parte è come se fossero stati sigillati in un contesto fossile, dove non c’è dinamismo e si ha a che fare con persone molto anziane con problematiche legate ad una malattia, al fine vita, all’abbandono, dall’altra il mondo circostante è andato avanti». Di fronte a questa situazione la visione collettiva si focalizza su fenomeni come il ritorno a casa dei lavoratori a distanza che si rivelano però statisticamente risibili. «Nelle aree interne c’è una profonda crisi narrativa, si fanno cose con le parole – affonda il dito nella piaga l’antropologa culturale – C’è un grande dinamismo a livello linguistico ma quando poi vai a verificare cosa sta succedendo in quel paese rispetto a quello che viene raccontato, non corrisponde quasi nulla. Se si vogliono andare a trovare delle informazioni interessanti, bisogna andare a lavorare negli interstizi».

Belluno: una provincia prototipoSfogliando il Ptcp, il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, non mancano gli spunti di riflessione su un territorio di montagna che tra il 2010 e il 2019 ha visto la popolazione residente diminuire di novemila unità e l’indice di vecchiaia, che misura quanti anziani ci sono ogni cento bambini, passare da poco più di 180 a oltre 235 nello stesso lasso di tempo. «Le persone residenti, soprattutto in quota, sono sempre meno, con età sempre più elevate, con un numero di famiglie crescente (sono circa 94 mila, ndr) e con sempre meno componenti – si legge nel Ptcp – La famiglia media è formata da 2,28 persone e crescono le famiglie formate da un solo anziano, per i tre quarti di sesso femminile». Per quanto il Ptcp sia un documento ormai datato, le riflessioni messe nero su bianco nel 2010 quando ancora alla guida dell’ente c’era Gianpaolo Bottacin non peccano certo di lungimiranza: «La tendenza all’inurbamentocontinuerà e sposterà sempre più attivi verso le aree di attrazione degli addetti che in questo modo lasceranno sguarniti di servizi pubblici e privati e del commercio al dettaglio i paesi e i nuclei abitati più marginali, nei quali continuerà a crescere il numero di immobili non utilizzato e non abitato». Un fenomeno uguale e contrario a quello che si è poi puntualmente verificato nei centri urbani maggiori.

La scia di case svuotateLa popolazione in età di poterlo ancora fare, insomma, si sposta dove ci sono più opportunità di studiare e lavorare ecosì facendo lascia disabitati i borghi di provenienza. Una galassia di paeselli divenuti, progressivamente, come villaggi turistici in cui le imposte si aprono unicamente durante la stagione turistica e per brevissimi periodi, quando ancora si aprono. Non sono rari, infatti, i casi di immobili passati in eredità a più soggetti e quindi frazionati talvolta in decine di proprietà. Stanze di pochi metri quadri possono avere anche fino a 30 proprietari diversi, alcuni di questi magari all’estero, rendendole inutilizzabili e invendibili. Case, rustici destinati a diventare ruderi di fronte ai quali l’amministrazione pubblica ha pochi strumenti per agire e quasi tocca sperare che l’immobile abbia qualche crollo di lieve entità tale però da giustificare l’intervento del sindaco per metterlo in sicurezza. Un abbandono generalizzato che oltre agli immobili residenziali finisce per non risparmiare quelli vocati all’ospitalità e alle attività produttive e commerciali: fabbricati sospesi nel tempo, cresciuti negli anni del boom, ampliati a prezzo di fatiche e sacrifici, oggi si susseguono lungo le principali arterie provinciali così come nei piccoli centri. Vetrine impolverate da cui si intravedono le luci accese di un paio di stanze, quelle in cui abitano gli anziani gestori ormai in pensione.

Una questione di realismoL’hanno chiamato Piano borghi ed è una costola del Pnrr. «Ventuno borghi straordinari torneranno a vivere – dichiarò entusiasta l’allora ministro Dario Franceschini – Un meccanismo virtuoso voluto dal ministero della Cultura ha portato le Regioni a individuare progetti ambiziosi che daranno nuove vocazioni a luoghi meravigliosi». «Sulla scia del Pnrr, nonostante alcuni Comuni siano stati bravi a vincerne i bandi, non sanno come investire le risorse – riflette Anna Rizzo – Arriveranno dei soldi nei prossimi cinque anni con delle scadenze e delle rendicontazioni molto rigide ma, di fatto, non hanno idea di come impiegarli. Hanno dato per scontato che certi servizi possano arrivare in modo semplice e veloce ma così non sarà». Non che gli investimenti non siano necessari, anzi, ma prima sarebbe utile creare un database con più informazioni possibile su ogni borgo d’Italia, capace di tenere insieme la storia, la geologia del territorio con il welfare e un quadro delle diseguaglianze. «Fare delle valutazioni obiettive e non nostalgiche» conclude Anna Rizzo, ed è difficile darle torto.

Recoaro è il borgo “scelto” per rinascere

È Recoaro Terme il “borgo dei borghi” scelto dalla Regione per la branca del Pnrr destinata a finanziarne dei progetti pilota di recupero. Recoaro non è strettamente un borgo, con i suoi oltre seimila residenti ma la Regione ha visto nella sua storia termale la chiave per il rilancio. I fondi in ballo sono cospicui, circa 20 milioni di euro: tanti, troppi perché gli altri comuni candidati accettassero la decisione in silenzio. Recoaro ha in progetto di investire 11 milioni sulle terme, negli interessi storici della Regione.

Un reportage sociale che si rinnova

Luzzara è un comune di poco meno di novemila anime nella provincia di Reggio Emilia. Nativo di Luzzara era Cesare Zavattini che con il fotografo Paul Strand diede vita nel 1955 al progetto “Un paese”, un racconto del borgo italiano. Idea ripresa da un altro grande fotografo, Gianni Berengo Gardin, e poi da altri autori: è la storia “in diretta” dell’evoluzione italiana.

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