Tutte le montagne e le colline venete sono collegate da sentieri e strade con i paesi e questi con le contrade, con i boschi e i con pascoli; e tutte le quote con le grandi città. Chi si trova a passare per i territori più distanti dalla pianura, più alti di quota, può avvertire talvolta una sensazione di isolamento, di lontananza, ma poi osservando la rete di strade e la ricchezza di sentieri e mulattiere che innervano tutto il paesaggio, sente che queste alture sono luoghi in cui le persone si incontrano. Si vedono anche i segni antichi del lavoro dell’uomo, la fatica dei boscaioli che qui venivano e vengono a tagliare migliaia di quintali di legna e di legname, talvolta gli impianti delle teleferiche, la cura dei contadini nel costruire muri a secco per produrre frumento, segale, orzo, canapa, fagioli e patate, l’ingegno di chi d’inverno metteva da parte il ghiaccio per portarlo d’estate in città a conservare verdure e carni prima che inventassero i frigoriferi. Capita di trovarsi su qualche sommità da cui, in tutte le direzioni, un mare verde di abeti, faggi, castagni, carpini e querce coprono i versanti delle valli e cancellano i campi un tempo strappati al monte e coltivati a fatica e con sapienza da chi ci ha preceduto. Il verde nasconde anche piccoli villaggi ormai abbandonati.
Chi cammina, come chi percorre queste vie in bici, sempre più spesso agevolato dalla pedalata assistita, si rende conto che il bosco continua ad aumentare la sua superficie. Nelle aree ferite dalla tempesta Vaia del 2018, in quelle franate per alluvioni, in quelle percorse da incendi, il procedere lentamente consente di vedere la natura all’opera: instancabilmente ogni essere vegetale, dalle erbe ai grandi alberi, produce fiori e poi frutti che a maturazione spargono semi in tutte le direzioni. Il risultato è sotto i nostri occhi: dai miliardi di semi caduti a terra milioni di piante attecchiscono e crescono. Uno degli effetti di questa prova di bravura di madre natura è il cambiamento del paesaggio, che seppur lentamente, rende alcuni luoghi da cui, per esempio, manchiamo da un decennio o più, irriconoscibili.
In altre parole il Veneto è più selvaggio di un tempo e questo non deve stupire perché l’aggettivo deriva da “selva”, dunque da bosco o foresta. In questo senso è diventato più facile incontrare “selvatici”, aumentati di numero anch’essi con l’espandersi delle foreste e questi incontri o, per dire meglio, avvistamenti suscitano spesso clamori e sentimenti contrapposti. In tutti noi avvistare un selvatico fa nascere un’emozione. Credo che dentro di noi da qualche parte, forse vicino al cuore, si annidi la parte primitiva del nostro essere e la vista di un animale in qualche misura la risveglia: abbiamo un tuffo al cuore e, forse, proviamo anche una qualche forma di nostalgia per quello che abbiamo perduto. Camminare in natura è anche questo, un ritrovare una parte di noi, sentire di appartenere alla terra che calpestiamo, sentire di abitare con piante e animali la stessa casa.
Il cammino è un gesto naturale e semplice, mette in armonia cuore, polmoni, muscoli e pensieri. È un gesto gratuito perché nessuno ci viene a chiedere un pedaggio, libero perché non dobbiamo chiedere a nessuno il permesso e privo di rischi, perché le nostre montagne, le nostre colline ci accolgono e il “lupo cattivo” è rimasto nelle favole, evita gli umani e sicuramente è più facile incontrarlo nelle città.