StorieTsiaki, dipartimento di Bouenza, Repubblica del Congo, in piena foresta equatoriale vive, in un territorio impoverito, uno dei primi popoli presenti in Africa
Per arrivare a Tsiaki, nel dipartimento di Bouenza in Repubblica del Congo (nota anche come Congo-Brazzaville), occorre prendere un pullman a Pointe Noire di mattina presto, sapendo che l’ora di partenza è approssimativa per difetto. Dopo aver acquistato il biglietto (un posto per adulto o un posto per due bambini seduti uno sopra l’altro) si attende in fila per la consegna della ricevuta, si aspetta che vengano stipati improbabili bagagli e ci si accomoda. Il viaggio dura dalle 8 alle 12 ore e il mezzo si riempie pian piano lungo fermate invisibili, dove accorrono, assieme ai viaggiatori, venditori di cibo e bevande che salgono e scendono sperando in qualche piccolo affare. Per chi ha spirito di osservazione si apre il paradiso. Dagli scalini entrano persone, animali vivi, animali morti, animali cucinati, taniche di plastica, attrezzi da lavoro, pentole, t-shirt di propaganda politica e i colori dei vestiti femminili. Si sale e si scende in una delle poche arterie asfaltate, sapendo che il rischio di incidente è alto. Un viaggio faticoso, rumoroso e interessante come lo è il genere umano. Tsiaki è una cittadina a pochi chilometri da quella che i libri per ragazzi definiscono foresta nera. Strade, persone, edifici e le coperture del mercato sono interamente celati da un velo di polvere arancione. Sembra di essere su Marte ma non si comprende come tutti ci siano arrivati. In mezzo alla foresta vivono gli “autoctoni” (così il Governo locale li definisce per limitare discriminazioni razziali), meglio conosciuti in occidente come Pigmei. Cinque mila donne e 4.500 uomini si dividono in comunità di 60-80 individui nel mezzo della foresta o nelle spianate causate dalla deforestazione. Per raggiungere i villaggi inizia un altro singolare viaggio. Un tassista si presenta con una Toyota completamente arrugginita, che sembra uscita dal mondo post-apocalittico di Mad Max, senza alcuna componente elettronica funzionante e una generale affidabilità che bisogna cercare in fondo all’animo. Dopo aver percorso una quarantina di chilometri tra sterrati e nuvole di polvere rossa, con il sole equatoriale che amplifica il proprio calore tra i vetri chiusi dell’auto, si giunge in una casa, che corrisponde all’imbocco del sentiero della foresta. Lungo il tragitto, camion cinesi trasportano tronchi enormi di chissà quante centinaia di anni. Da qui, a piedi, si entra in una dimensione primordiale, tra intrecci di canne di bambù grandi come palazzi, alberi secolari e sterpaglie bruciate. Lungo i torrenti, bambini svestiti governano zattere di legno mentre i genitori lavano i propri indumenti. Il villaggio degli “autoctoni” è fatto di capanne di foglie, fango e bastoni. Ci sono una chiesa, un’aula scolastica aperta e un gazebo per le riunioni di comunità. Tutti dormono per terra, al più su un tappeto di vimini. Tutta la vita ruota attorno alle necessità giornaliere. Ho fame, vado a cacciare o a pescare, ho sete, vado a prendere l’acqua e così via. Proprio al mio arrivo un gruppo di uomini sta partendo: starà via una settimana, dormendo sotto il cielo, sperando di catturare un grosso animale da condividere e celebrare con la comunità. Un paio di fucili, una manciata di pallottole e vestiario tenuto in piedi da nastri e spille da balia rappresenta tutto l’equipaggiamento disponibile. Anche i rimedi ai malanni del corpo sono affidati alla foresta. Foglie, bacche e ossa di animali vengono frantumati, ammorbiditi con l’acqua e assegnati al malato. Per i malanni dell’anima, invece, ci sono la chiesa e i riti vudù. Secoli di colonizzazione cristiana hanno creato una religione che attinge dall’Occidente, dalle tradizioni locali e dagli spiriti della foresta. Ogni animale, frutto o ortaggio è un dono della natura, così come la vita di un uomo. Quando viene a mancare deve essere riaccompagnata da dove è venuta. L’iniziazione all’età adulta di un ragazzo è considerata sacra. Il grande prende il piccolo sotto la sua tutela e giorno dopo giorno gli insegna tutto ciò che serve per sopravvivere: come costruire e installare le trappole, come scavare i canali d’acqua a favore dell’agricoltura, come comportarsi con la comunità. Poi, in alcuni villaggi, appena conclusa l’età dell’adolescenza, i ragazzi vengono allontanati per un periodo e portati in mezzo alla foresta, dando modo loro di mettere in pratica ciò che hanno imparato. L’impresa è certamente impervia e pericolosa e infatti, al loro ritorno, per circa una settimana vengono sottoposti a riti, molti dei quali segreti, che, con l’aiuto degli spiriti, possono dare loro una nuova vita: è la morte della giovinezza e la nascita dell’adulto. Nonostante i Pigmei siano tra le prime popolazioni presenti in Africa, la programmazione non fa parte del loro modo di intendere la vita. E ciò li ha resi nomadi e in numero sempre minore, tanto da essere beneficiari di programmi di tutela da parte del governo anche rispetto alle comunità Bantu, che li hanno schiavizzati nel corso dei secoli. Una volta esaurite le risorse dell’accampamento ci si sposta da un’altra parte e si ricomincia a cacciare, pescare, coltivare e bruciare sterpaglie. I pochi beni avanzati sono scambiati al primo mercato utile, che si trova a qualche decina di chilometri. Solo pochi capi villaggio hanno intuito il rischio di scomparire in un prossimo futuro e cercano di appoggiarsi ad associazioni non governative che li aiutano nei loro propositi. Alisei, ong italiana, con il sostegno finanziario dell’Associazione Maison du Coeur (Amaco), dell’Unione Europea e dell’Unione per lo studio e la ricerca sulla popolazione e lo sviluppo (Uerpod), sta operando per sostenere strategie di sviluppo per la promozione e la protezione dei diritti delle popolazioni indigene nel distretto di Tsiaki. Tra le varie attività sta incoraggiando il sostegno scolastico, una programmazione agricola che guardi un po’ più in là delle poche settimane e ha avviato il progetto di costruzione di un museo che conservi le tradizioni musicali, danzanti e rituali. Altra lacuna è l’anagrafe. Pochi possiedono un certificato di nascita. I motivi del mancato possesso del certificato di nascita da parte dei capifamiglia sono la mancanza di mezzi finanziari, il ritardo del parto, la discriminazione e la mancanza di strutture amministrative. Solo un capofamiglia su cinque riferisce che tutti i figli hanno un certificato di nascita. Alisei aiuta gli abitanti ad averne uno che, formalmente, li indichi come appartenenti al Congo. Inoltre, grazie a progetti per la tutela degli autoctoni, sono cominciati alcuni programmi di sviluppo urbanistico che prevedono la costruzione delle prime abitazioni in muratura. Durante la mia visita un ragazzo che frequenta una scuola di Pointe-Noire, è stato riaccompagnato a trovare la propria famiglia di origine nel villaggio. Come è sceso dall’auto, la mamma, le amiche della mamma, i fratelli più piccoli e in generale tutti i membri della comunità lo hanno accolto con un affetto immenso. La commozione e la gioia erano talmente grandi che a contenerle non bastavano gli occhi del ragazzo, frastornati dall’idea di essere ritornato su Marte dopo aver visto il pianeta Terra.
I Pigmei sono diffusi lungo la fascia tropicoequatoriale dell’Africa. Tuttavia il nome “pigmei” è un termine per indicare diversi sottogruppi, tra i quali i Twa, i Baka, gli Aka e i Bambuti. Le tribù, composte da comunità di 60-80 individui, vivono in Camerun, Gabon, Repubblica del Congo, Repubblica democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Tanzania, Burundi e Uganda. Le stime contano circa 900 mila individui, ma sono numeri approssimativi. Sono nomadi stanziali e si spostano sempre all’interno di un’area circoscritta. Da sempre legati a ciò che fornisce la natura, seguendone il ritmo e la stagionalità, durante i secoli i Pigmei hanno visto sempre meno riconosciuti i loro diritti territoriali, tanto da vedersi sottrarre dagli Stati la loro unica fonte di sostentamento: la terra e le foreste. La loro scomparsa è minacciata dal disboscamento e dagli incendi che in Africa, secondo Greenpeace, causano l’abbattimento di 4 milioni di ettari di foresta ogni anno a favore dell’agricoltura intensiva e dello sfruttamento dei giacimenti nel sottosuolo.
Andrea Signori è fotografo documentarista padovano, i suoi lavori, realizzati in diverse Paesi del mondo, sono pubblicati nei più importanti magazines italiani e internazionali. In questo numero della Difesa pubblichiamo un lavoro inedito sui Pigmei
Andrea Signori
