Chiesa
“Noi non siamo idealisti, siamo profeti. Il documento è disseminato dei nomi di coloro che hanno dato voce a questa profezia, che hanno persino offerto la vita, risultando spesso scomodi, ma sono stati capaci di far avanzare la storia verso ciò che è meglio”. Così in un’intervista al Sir mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, presenta la Nota pastorale della Cei su “Educare aduna pace disarmata e disarmante”. “Ci siamo accorti all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina e del conflitto in Palestina – spiega mons. Renna -, che mancava una visione chiara, condivisa e diffusa della pace. Era necessario riprendere in mano il senso della pace che il cristiano deve avere in modo pieno”.
Da dove siete partiti?
Ci siamo chiesti: siamo sicuri che tutti i credenti conoscano la visione che scaturisce dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa? Hanno idee chiare sull’uso delle armi, sulla strategia degli armamenti che oggi sta tornando a crescere? Si interessano davvero ai processi di non violenza, che pure hanno avuto tanti testimoni tra i cristiani? La Commissione Episcopale della Cei per i problemi sociali e il lavoro si è interrogata a lungo su questi temi, osservando anche il dibattito presente nella società civile. Da qui è nata la proposta di ripubblicare un documento sulla pace: ne esisteva già uno del 1998, ma era evidente la necessità di un aggiornamento. Questo aggiornamento è stato incoraggiato anche dalle parole di Papa Leone, che nella prima assemblea della Cei del 17 giugno ha invitato a fare in modo che ogni comunità fosse una “casa che educa alla pace”. Anche il cammino sinodale ha raccolto queste istanze e, già da gennaio scorso, è iniziato il percorso di preparazione del nuovo documento.
La Nota è corposa e profonda.
È ricca perché vuole offrire una visione completa. Se il documento del 1998 era più centrato sul tema dell’educare alla pace, questo nuovo testo propone un’analisi seguendo il metodo della dottrina sociale della Chiesa: vedere, giudicare e agire. Dopo un’introduzione, troviamo un’analisi della situazione contemporanea, che non riguarda solo i conflitti mondiali, ma anche la violenza e la conflittualità presenti nella nostra società, la visione sugli armamenti, sulla politica e sul futuro. Il secondo capitolo presenta i criteri per formulare un giudizio sulla pace e sulla guerra, attingendo alla Parola di Dio e al ricco Magistero della Chiesa, da Papa Benedetto XV fino al Magistero di Papa Leone. La terza parte indica invece le vie percorribili dalle nostre comunità: dalla famiglia alla vita ecclesiale, dalla società alla politica, sia nazionale che internazionale.
Cosa vi preoccupa di più?
Ci preoccupa soprattutto il fatto che i credenti non abbiano una visione chiara e rischino di perdere di vista la loro profezia. La profezia del credente – basti pensare a don Tonino Bello – è quella che ha spinto la società civile a guardare al futuro in modo diverso, non come una comunità destinata a consumarsi nei conflitti e arrivare alla distruzione senza rendersi conto della forza deflagrante della bomba atomica ma come una comunità che può pensare diversamente e scegliere il dialogo, il disarmo, lo sviluppo, i trattati di pace, le vie che conducono a una vera democrazia, la più grande garanzia di pace. Ci preoccupa che i credenti smarriscano questa profezia di pace: per questo è nato il documento.
A un certo punto la Nota si rivolge anche ai responsabili politici. Quale appello rivolgete alla politica?
Può sembrare un ossimoro, ma la pace non è autentica se non rispetta la giustizia. Una pace che non garantisce democrazia diventa una condizione capestro per i popoli. Ai politici si chiede di non seguire la corsa agli armamenti e, ancor meno, la proliferazione delle armi nucleari. Da questo punto di vista, le scelte politiche saranno decisive. Oggi vediamo riaffiorare l’antico adagio romano: “se vuoi la pace, prepara la guerra”. Ma il futuro non si affronta riempiendo arsenali di armi. Occorre una strategia diversa, che punti su trattati, democrazia e una pace giusta, investendo tutte le energie in questa direzione. In queste questioni non è estraneo il tema dello sviluppo perché dietro ogni guerra si nascondono grandi questioni di carattere economico.
La Nota esce in un momento che non è mai stato così drammatico. La pace oggi sembra lontanissima. È da idealisti crederci e quali i presupposti per renderla un progetto possibile?
Non è da idealisti ma da profeti. Gli idealisti credono in un’idea; noi crediamo in una persona, in Gesù Cristo, che per noi è la fonte della pace.
Crediamo che il suo messaggio e la sua grazia possano incidere nelle coscienze degli uomini e dei popoli. La profezia è quella di chi crede nella democrazia, di chi crede nel multilateralismo e di chi ritiene che i leader non sono persone che possano agire in modo autoreferenziale, ma debbano tenere presente il loro popolo, tutta la loro gente. I credenti, da questo punto di vista, non possono chiudersi in una visione nazionalista: devono saper guardare al bene del proprio Paese in dialogo costante con il bene del continente, nel nostro caso dell’Europa, e del mondo intero. Il nazionalismo è un passo indietro di un secolo, che non può che alimentare i conflitti.