Fatti
Con l’annuncio di un piano casa la premier ha toccato al Meeting di Rimini un tasto nevralgico per la società italiana, tanto più se l’operazione viene messa in collegamento con la crisi demografica. Per gli italiani (e non solo per essi, a dire il vero) la questione della proprietà della casa è fondamentale nella vita dei singoli e soprattutto delle famiglie. Oltre il 70% della popolazione vive in una casa di proprietà e la stessa Costituzione, all’articolo 47, afferma che la Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”. Un’indicazione programmatica che acquista un particolare valore oggi, in una stagione in cui il mercato immobiliare è bloccato nella morsa di prezzi proibitivi anche per quanto riguarda gli affitti. L’iniziativa di Giorgia Meloni va quindi nella giusta direzione. Adesso però bisognerà verificare i contenuti precisi e la praticabilità finanziaria dell’operazione annunciata che dovrebbe consistere in “un grande piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie, perché senza una casa è molto più difficile costruire una famiglia”, per stare alle parole della premier a Rimini.
Le opposizioni hanno già cominciato a parlare di bluff e di mossa propagandistica e oggettivamente il piano è tutto da costruire. Per il momento sono a disposizione soltanto i 660 milioni di euro stanziati dall’ultima legge di bilancio, definiti “un’inezia” dallo stesso ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. Secondo l’Ance, l’associazione dei costruttori, servirebbero almeno 15 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Ecco perché bisogna misurare i toni quando si azzardano confronti con il grande Piano Fanfani che tra il 1949 e il 1963 rappresentò un’autentica svolta nella ricostruzione post-bellica del Paese. Detto per inciso, nel ’49 la principale opposizione al Piano non venne dal Pci, ma dagli Usa che contestavano l’utilizzo a questo scopo dei finanziamenti d’Oltreoceano, mentre Washington avrebbe voluto vederli destinati all’incremento dei consumi…I governi italiani di allora tirarono dritto e dobbiamo essergliene ancora grati.
Il fatto è che gli investimenti nel settore immobiliare sono decisivi oltre che per motivi sociali e di consenso, anche per il loro straordinario impatto moltiplicatore sulla crescita. Lo abbiamo visto in tempi recentissimi con il cosiddetto superbonus. Una misura nata in un contesto politico assai diverso, se non opposto (anche se poi condivisa trasversalmente), e di cui nessuno può onestamente negare il ruolo cruciale avuto nella ripartenza dopo la pandemia. La gestione nella fase successiva è stata invece molto più discutibile e dagli effetti contraddittori. Il che dovrebbe suonare come monito per qualsiasi intervento di vasta portata nel comparto immobiliare.
C’è poi da segnalare la singolare analogia tra alcune critiche che oggi vengono avanzate al futuro piano casa meloniano, in quanto favorirebbe i “palazzinari”, e alcune di quelle indirizzate al superbonus, in quanto strumento che ha finito per premiare i più abbienti. E’ la dimostrazione che non esistono soluzioni tecnicamente impeccabili e neutrali, ma è la politica che deve assumersi la responsabilità delle scelte. In Parlamento e davanti all’opinione pubblica.