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Osservatorio Hyperion. Il picco di coesione sociale si è raggiunto con il lockdown
La situazione, per Gian Pietro Turchi, va gestita con il “concorso di popolo”
IdeeLa situazione, per Gian Pietro Turchi, va gestita con il “concorso di popolo”
Tutti i giorni leggono i post sui social e studiano i giornali e poi, settimanalmente, li analizzano e da scienziati quali sono stilano il grado di coesione sociale dei veneti. Dall’aprile scorso Hyperion, l’Osservatorio della coesione sociale in assetti emergenziali dell’Università di Padova diretto dal professor Gian Pietro Turchi, studia come la nostra comunità interagisce nell’emergenza sanitaria Covid-19.
«Durante la prima fase di lockdown la comunità veneta ha raggiunto il massimo livello di coesione sull’obiettivo comune di ridurre il contagio e infatti siamo stati additati in tutta Europa per esserci mossi con grande compattezza rispetto a questo obiettivo di contenimento della diffusione. Poi da maggio, quando si è incominciata a palesare la possibilità della cosiddetta fase due, abbiamo incominciato ad osservare che la coesione si stava riducendo e cominciavano ad emergere alcune tematiche come la insofferenza nei confronti dei dati solo sanitari – spiega il professor Turchi – In estate abbiamo ottenuto i valori più bassi dei livelli di coesione, poi a settembre c’è stata una ripresa quando il contagio si stava nuovamente diffondendo. Ora è un anno che l’Osservatorio lavora e abbiamo notato che un terzo della popolazione che tracciamo si è mantenuto costantemente coerente tenendo alta l’attenzione sul virus e sulla diffusione, seguendo le regole e le indicazioni che venivano date, saldo nei proponimenti nel modo di gestire la pandemia. Uno zoccolo duro, mentre l’altro due terzi, più ondivago, è composto da soggetti più o meno conflittuali, polemici, in contrapposizione con le istituzioni».
Dall’analisi emerge anche che tra i veneti non è mai comparsa la componente negazionista: «Non è un tema che scalda il dibattito tra i cittadini veneti, si riconosce in maniera massiccia che il virus è presente». Una comunità realista, insomma.
Da fine giugno il clima cambia e si osservavano le prime critiche alle istituzioni e anche alla presidenza regionale, cosa che nella prima fase non compariva assolutamente: «Abbiamo cominciato a tracciare nei testi delle critiche nei confronti della gestione regionale oltre che nazionale e questo è andato crescendo e infatti c’è stato un momento in cui era così forte che l’abbiamo segnalato nel nostro bollettino, tant’è che purtroppo, quando il presidente Zaia è stato attaccato, non ci siamo stupiti perché volavano parole grosse in maniera costante».
Un elemento forte di polemica è emerso nei confronti degli esperti e delle varie posizioni che soprattutto durante l’estate hanno originato contrapposizioni. La polemica è scemata quando i contagi sono tornati a diffondersi e la coesione è salita, ma non ha più toccato i livelli della prima fase. In autunno ha cominciato a comparire la questione vaccini: prima sfumata, poi aumentando mano mano fino a oggi dove è un elemento per il 35-40% del dibattito: «La contrapposizione con le istituzioni continua e nche gli esperti che sono equiparati agli opinionisti, hanno perso la faccia e adesso il 35-40% dei testi esprime un’opinione sanitaria personale: cos’è il vaccino, cosa fa, come mi comporto, la mascherina la uso quando voglio…».
Un elemento su cui i veneti sono compatti è la scuola: «Da settembre il tema è molto utilizzato e riconosciuto come importante e fondamentale, ma non perché non so dove mettere i figli: due terzi della popolazione ritiene che la scuola sia un’istituzione centrale nella vita della comunità e dell’importanza che i figli dei cittadini veneti tornino a scuola tutti si sono accorti».
Il tema dei ristori compare verso la fine del 2020 «ma non è forte la presenza di polemica nei confronti delle istituzioni e delle scelte politiche, non è considerata questione risolutiva perché la richiesta è quella di portare al centro la comunità: dobbiamo smettere di discutere solo di questioni sanitarie, dobbiamo cominciare a occuparci anche di altro: famiglia, economia, scuola, di tutto quello che sono le caratteristiche di una comunità attiva. Sale l’insofferenza nei confronti del dato squisitamente sanitario: siamo stufi, fateci sapere altro cosa succede in altri settori».
L’Osservatorio è stato contattato dall’assessore Donazzan consapevole che occorre far conoscere ai veneti che viene monitorato anche altro, ma al professor Turchi preme far capire che occorre guardare alla comunità con occhi diversi e anche con parole diverse: «Non possiamo più usare pandemia né sindemia, termini sanitari che mettono paletti, ma dobbiamo usare la parola “diademia”, che significa “attraverso il popolo” perché la situazione che stiamo vivendo può essere gestita dalla società in maniera efficace solo con il concorso del popolo».