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Pacem in terris ha 60 anni ma è un testo più che mai attuale
Papa Giovanni XXIII la scrisse nel 1963. Il costituzionalista Mario Bertolissi ne ha pubblicato una “rilettura” da parte di 37 giuristi e accademici
IdeePapa Giovanni XXIII la scrisse nel 1963. Il costituzionalista Mario Bertolissi ne ha pubblicato una “rilettura” da parte di 37 giuristi e accademici
La Terra è un luogo meraviglioso creato da Dio perché gli esseri umani vivano in pace, tra loro e con le altre creature. Eppure «con l’ordine mirabile dell’universo continua a fare stridente contrasto il disordine che regna tra gli esseri umani e tra i popoli; quasi che i loro rapporti non possano essere regolati che per mezzo della forza». Parte dalla constatazione di questo paradosso la Pacem in terris, l’ultima enciclica di Giovanni XXIII e tra i documenti più importanti del suo pontificato. In essa, a sei mesi dalla crisi dei missili di Cuba e a due dalla morte, per la prima volta il papa oltre che ai credenti si rivolge a «tutti gli uomini di buona volontà», con un linguaggio contemporaneo capace di fare breccia anche nei leader delle due superpotenze, Kennedy e Kruscev, arrivati a un passo dallo spettro di una guerra nucleare. Un testo che ancora oggi, a sessant’anni dalla sua pubblicazione, mantiene tragicamente tutta la sua attualità, in un mondo che con i conflitti in Ucraina e in Terra Santa si trova di nuovo sospeso sull’incubo atomico. Per questo qualche mese fa Mario Bertolissi, professore emerito di diritto costituzionale presso l’Università di Padova, ha avuto l’idea di tornare a riflettere su di esso chiamando a raccolta un gruppo di colleghi; il risultato è il volume Lettera enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris. Costituzioni e Carte dei diritti, appena pubblicato da Jovene editore (Napoli 2023) e presentato lo scorso 30 ottobre nella Scuola grande di San Rocco a Venezia, nei luoghi in cui Roncalli fu amato patriarca. Gli interventi di 37 studiosi, prevalentemente giuristi, vanno dal diritto alla sociologia passando per la storia: una riflessione a più voci ma sorprendentemente coerente, profonda e quanto mai opportuna, messa insieme in pochi mesi come se si avvertisse l’esigenza di dover colmare un vuoto. L’anniversario dell’enciclica infatti è passato abbastanza sotto traccia, senza che forse si percepisse adeguatamente l’importanza di quello che Giorgio la Pira definì il “manifesto del nuovo mondo”. In essa non ci si limita ad auspicare la pace ma viene delineato, per usare le parole di Bertolissi «un compendio di diritto che indica le regole di una convivenza ispirata al bene comune, dove ogni persona va rispettata e ha la sua dignità». Già prima dei documenti del Concilio Vaticano II, che poi in parte la recepiranno, la Chiesa cattolica opta definitivamente per la democrazia e i diritti umani (elencati e spiegati nel dettaglio), la libertà religiosa e la parità uomo-donna, abbracciando con convinzione il dialogo tra popoli e religioni e riconoscendo l’Onu come strumento essenziale per mantenere e consolidare la pace. A concepirla un papa che, come Angelo Roncalli, sotto l’apparenza della bonarietà custodiva una mente sopraffina: «Sicuramente uno dei diplomatici più importanti del Novecento – spiega alla Difesa Alberto Melloni, storico del cristianesimo e autore della prefazione del volume – Con la Pacem in Terris papa Giovanni si concentra sulla questione della pace percepita come segno dei tempi e la affronta a partire dall’esperienza concreta della Chiesa che durante i due grandi conflitti del 20° secolo avevo optato per la neutralità. Una decisione che si era rivelata giusta nella Prima guerra mondiale, ma sbagliata nella Seconda». Dal 1963, insomma, la Chiesa ha incrementato i suoi sforzi per favorire il dialogo tra le parti e superare ogni conflitto, e ancora oggi papa Francesco non si limita ad appelli quasi quotidiani perché tacciano le armi: «La pace è essenzialmente questo, un filo sottile per ricucire le ferite del mondo – conclude Melloni – trovando di volta in volta una capacità di iniziativa che per esempio Francesco ha dimostrato “inventando” la missione per la pace del cardinale Matteo Zuppi in Ucraina, in Russia, Stati Uniti e Cina. Un modo per dire che la Chiesa cattolica non si rassegna all’idea che si deve tirare avanti la guerra fino a che non se ne può più».