Chiesa
“È bello e significativo che Papa Leone compia il suo primo viaggio fuori Italia in Turchia per celebrare, proprio a Iznik, l’antica Nicea, il 1700 anniversario del primo Concilio Ecumenico”. Lo afferma mons. Piero Coda, segretario generale della Commissione teologica internazionale, al quale il Sir ha chiesto di presentarci il viaggio di Papa Leone in Turchia, a partire dalla Lettera apostolica “In unitate fidei” che il Papa stesso ha diffuso alla vigilia del suo viaggio dedicandola al 1700° anniversario del Concilio di Nicea. “Il frutto più importante e duraturo di quel primo Concilio (completato nel successivo Concilio di Costantinopoli) – spiega il teologo Coda – è il Credo che unisce tutti i cristiani, da allora sino ad oggi: è la loro autentica carta d’identità. Tanto che questo Concilio, nella tradizione condivisa da tutta la Chiesa, non è solo il primo in senso cronologico: lo è anche per il valore inestimabile che rappresenta. E non solo per i cristiani, ma per tutta l’umanità. Esso infatti – e Papa Leone lo sottolinea nella sua Lettera – ha “un’importanza e un’attualità non solo teologica ed ecclesiale, ma anche culturale e sociale”.
Perché?
Perché professare pubblicamente – e con un linguaggio che esprime con un significato non fraintendibile il messaggio del Vangelo, che Gesù è veramente il Figlio di Dio che si è fatto uno di noi per farci tutti, in lui, figli e figlie dell’unico Padre e, perciò, fratelli e sorelle tra di noi – è gettare nella pasta della storia il lievito più rivoluzionario che si possa pensare.
Il papa scrive: “in un mondo diviso e lacerato da molti conflitti, l’unica Comunità cristiana universale può essere segno di pace e strumento di riconciliazione contribuendo in modo decisivo a un impegno mondiale per la pace”. Le persone oggi chiedono segni più che parole. Cosa ha da dire oggi il messaggio di Nicea ad un Mediterraneo in fiamme?
Gesù, come lo riconosce la fede espressa nel Credo di Nicea, è davvero “il Principe della Pace”. Non per modo di dire, ma veramente! Non di una pace qualunque, ma di quella Pace che è dono di Dio che scende nei cuori e li trasforma con l’amore, che illumina le menti con la luce della verità, che ispira le opere della giustizia, della fraternità, della misericordia.
E’ questo il segno che dobbiamo dare, partendo da noi che come cristiani delle diverse Chiese, condividiamo la stessa fede proclamata a Nicea. Il Concilio di Nicea è stato chiamato “ecumenico” proprio per questo: perché la fede che vi è stata professata era quella di tutti i cristiani dell’ “ecumene”, e cioè della “terra abitata” che allora si conosceva. Oggi, questa Comunità è diffusa su tutta la terra. Ed è chiamata a essere “una” non solo per la fede e il battesimo, ma anche per l’amore che lega i cristiani tra loro, e con tutti. Non ha detto Gesù che il comandamento che è suo ed è nuovo è: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”? E’ un segno di luce e di speranza che Papa Leone, il Vescovo di Roma, vada a Iznik insieme al Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli e ad altri, Vescovi e Patriarchi. Sì, come scrive Papa Leone, “un segno di pace” e “uno strumento di riconciliazione”. Prendendo a ispirazione questo segno dobbiamo impegnarci ciascuno per la propria parte a essere costruttori di questa Pace. Altrimenti, se il sale perde il suo sapore, a che cosa serve più?
Sempre nella Lettera Apostolica, il Papa chiede di “lasciarci alle spalle controversie teologiche che hanno perso la loro ragion d’essere per acquisire un pensiero comune e ancor più una preghiera comune allo Spirito Santo, perché ci raduni tutti insieme in un’unica fede e un unico amore”. Lei è un teologo e conosce bene “il peso” delle parole. Quella indicata da Papa Leone è una prospettiva “fattibile”?
Sì, le parole hanno un peso! Lo ha detto anche Gesù: “ il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Ma sono solo le sue, appunto, le parole che non passano: quelle pronunciate da lui durante la sua missione sulla terra, e quelle pronunciate in fedeltà a lui e in ascolto dello Spirito Santo dalla Chiesa, unita nel suo nome. Come è successo a Nicea. A proposito del Credo allora proclamato vale infatti quanto scritto negli Atti degli Apostoli della comunità dei primi cristiani riunita a Gerusalemme per discernere la prima decisiva controversia: “lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso…”.
“Acquisire un pensiero comune”, scrive Papa Leone: non un pensiero uniforme, ma un pensiero… “riconoscente”: un pensiero che riconosce la sua sorgente e la sua misura e il suo fine in Gesù, e che sa riconoscere, con umilta e gratitudine, la verità e il bene che sono presenti anche nell’altro. Realizzando un vero scambio dei doni che Dio ci ha fatto, a ciascuno di noi e a ciascuna comunità cristiana, perché? perché li condividiamo con gli altri: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. E’ la legge della vera libertà e della vera unità. Il programma di vita che Gesù ci ha lasciato.
Il Papa invoca “un ecumenismo rivolto al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali”. Cosa si intende per “rivolto al futuro”? Le Chiese e soprattutto le nuove leadership oggi sono in grado di mettersi su questa via di dialogo?
Perché l’unità c’è già, è il dono di Gesù, è Gesù, presente e vivo “dove sono due o più radunati nel mio nome”, come lui ha detto. Dobbiamo riscoprirlo il dono dell’unità, sì, come qualcosa che è alle nostre spalle, in Gesú che è venuto, ma anche in qualcosa che deve ancora venire, dal Padre, in Gesù, nel soffio dello Spirito Santo. L’unità che viene dal futuro non sarà semplicemente come quella della Chiesa prima delle divisioni: no, sarà più bella, più grande, più vera! Sarà arricchita dei frutti di vita, santità, cultura, arte, fermento di fraternità sociale…portati da ogni tradizione cristiana lungo i secoli. Sarà purificata dalle sofferenze e dalle prove attraversate e qualche volta inferte dagli uni agli altri, anche pensando di fare del bene… Sarà nuova e sorprendente come tutti i regali dello Spirito Santo.
Ma le Chiese sono pronte a questo?
Il Concilio di Nicea è stato il primo Concilio ecumenico: concilio, in greco, si dice “sinodo”. Il fatto che la Chiesa cattolica riscopra oggi – e cerchi di metterla in pratica – la sua identità e missione sinodale e che, proprio in questo, ci si ritrovi nello stesso cammino non solo con le Chiese ortodosse, ma anche con tutte le altre Chiese (lo abbiamo toccato con mano, un anno fa, nell’Assemblea sinodale in Vaticano) non ci dice che siamo sulla strada giusta? Impegnativa e ardua quanto si vuole, certo, ma – come ci ha avvisato Gesù – “stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita”. La via della grazia è a caro prezzo, perché chiede il dono di sé. La via dell’amore chiede tutto per dare tutto.