Chiesa
La visita di Papa Leone XIV in Libano, nell’ambito del suo primo viaggio internazionale in Turchia per i 1700 anni del Concilio di Nicea, “è un fatto per noi molto significativo. Vuole dire mettere il nostro Paese, e con esso tutto il Medio Oriente, al primo posto della scena internazionale e indicare realmente come la pace sia una priorità per il Pontefice. Una scelta che ci dice che siamo nel cuore di questo nuovo Papa e del lavoro della diplomazia vaticana”.
Mons. César Essayan, vicario apostolico di Beirut dei Latini presenta così, al Sir, l’imminente viaggio apostolico che porterà Papa Leone XIV prima in Turchia (27-30 novembre) e subito dopo in Libano (30 novembre – 2 dicembre). Leone XIV arriverà a Beirut nel pomeriggio del 30 novembre e incontrerà, come da programma, le massime cariche dello Stato, esponenti della società civile, il clero, i patriarchi, i consacrati, gli operatori pastorali, i giovani e rappresentanti delle altre fedi. Il Papa pregherà, poi, sulla tomba di san Charbel Makluf e sul luogo dell’esplosione del porto di Beirut, prima di fare rientro in Vaticano.
Eccellenza, Papa Leone XIV arriva in Libano sotto il motto “Beati gli artigiani di pace”…
Esattamente. La pace che Papa Leone ha già annunciato come programma il giorno della sua elezione, chiamandoci all’evangelizzazione. È una pace che non viene dall’alto, ma per la quale bisogna essere artigiani, lottare e lavorare.
Papa Leone ha detto: ‘Vengo in Libano per la pace in Medio Oriente’. Viene da pellegrino e da artigiano di pace.
Egli allarga il suo sguardo, ancora una volta, dal Libano verso tutto il Medio Oriente. Un’esortazione forte affinché il Libano ritrovi la sua vocazione di Paese della convivenza e della libertà al di là delle appartenenze religiose.
Il Libano è un Paese generoso, pensiamo ai rifugiati accolti, provato dalla guerra tra Hezbollah e Israele, segnato da una lunga crisi sociale ed economica. Che Libano troverà Papa Leone XIV?
Troverà un Libano disfatto, molto provato, che vive una situazione davvero difficile, molto lontano dall’essere uno Stato di diritto. Versiamo in una crisi sociale ed economica molto dura, difficile da sostenere. Il popolo vive in uno stato di oppressione continua, oltre alla situazione drammatica dei bombardamenti israeliani quotidiani al Sud e nella Bekaa, ci sono anche tensioni interne create dalle dichiarazioni di Hezbollah e di alcuni partiti politici cristiani.
Siamo un paese dove i responsabili non ascoltano né i poveri, né i cittadini. Papa Leone XIV troverà un Paese in crisi e una Chiesa che stenta a riprendere il suo ruolo, perché anche noi, come uomini di Chiesa, ci troviamo in difficoltà a dover lottare ogni giorno per discernere la volontà del Signore e come rispondere alle attese del nostro popolo che non ha dove andare.
Esso si rivolge alla Chiesa come fosse una mamma. Lo Stato, infatti, è assente a molti livelli. Troverà un Libano che ha bisogno di essere ascoltato ma desideroso di ascoltare parole di speranza.
Il programma papale prevede incontri con il clero, gli operatori pastorali, i giovani e chiaramente con le Istituzioni. Che cosa si aspetta da questi momenti?
Mi lascerò sorprendere dalle parole del Papa, anche se penso che rimarrà nella scia di ciò che gli altri Papi ci hanno detto. Lui stesso ci dirà l’importanza della nostra realtà: il Papa è sempre un passo avanti rispetto a noi, è capace di uno sguardo che noi non abbiamo. Ci stiamo preparando e lo aspettiamo con grande disponibilità: quello che ci dirà sarà un tesoro prezioso da conservare.
Una parola sui giovani: possiamo parlare anche in Libano di una “generazione Leone XIV”?
I giovani stanno preparando con entusiasmo l’incontro con il Papa. Al Giubileo dei giovani dello scorso agosto erano oltre un migliaio. Essi vogliono dirgli cosa vivono e mostrare la realtà del Libano con canti, testimonianze e note creative. Aspettano parole che valorizzino il loro impegno: i giovani sono una realtà bellissima della Chiesa, presenti ovunque, nel servizio quotidiano, nei social media per l’evangelizzazione, nelle liturgie. Sono la Chiesa libanese del futuro. Il Papa sarà contento di incontrarli e incoraggiarli a credere in sé stessi e a invitare altri loro coetanei a impegnarsi per creare un nuovo Libano. È importante, davanti a tanti che lasciano il Paese, dire che chi resta è capace di costruire qualcosa di bello.
Un altro momento importante del programma è l’incontro con i rappresentanti delle altre religioni. Che contributo potrà dare la visita del Papa al dialogo interreligioso?
Molto dipenderà dall’apertura degli altri alle parole del Papa. So che Papa Leone avrà la delicatezza di parlare a ciascuno nel linguaggio che può comprendere: per noi cristiani tenere separati Religione e Stato è facile; per i musulmani non lo è. Credo che attendano un discorso conciliante e comprensibile. I messaggi da parte dei musulmani e dei drusi sono già arrivati al Papa, e si prevede un buon clima.
Abbiamo fiducia che saprà parlare a tutti ricordando l’importanza del dialogo. Ha parlato di ‘ponti’ fin dal primo giorno: ponti di dialogo per creare una pace disarmante e disarmata. Speriamo che questo messaggio tocchi il cuore di tutti.
Ci sono in programma due momenti altamente simbolici: la visita alla tomba di San Charbel e quella al luogo dell’esplosione nel porto di Beirut. Cosa rappresenta san Charbel per il Libano e, ancora, quale significato riveste la preghiera al porto di Beirut, una ferita ancora aperta nel cuore del Paese?
Direi tre momenti forti e simbolici: alle due tappe già menzionate aggiungerei la visita all’ospedale psichiatrico “De la Croix” gestito dalle suore della Croce, a Jal ed Dib. San Charbel ha oggi una rilevanza internazionale: egli richiama tutti al silenzio. Il silenzio è importante in un mondo dove le armi fanno rumore, dove i discorsi fanno rumore. San Charbel ci invita al silenzio, un valore che ci mette davanti a Dio, in intimità con Lui. Poi, come dicevo, c’è l’ospedale psichiatrico. Visitarlo significa scegliere gli ultimi. Non si costruisce la pace senza partire dagli ultimi, quelli che nessuno vuole vedere. Ogni vita è preziosa agli occhi di Dio, anche quella emarginata e considerata senza valore. Cristo è morto per ogni vita. Infine il porto di Beirut: il Papa incontrerà le vittime nel silenzio. Il silenzio è un grido più forte di ogni parola, come il sangue di Abele. Grida giustizia e verità. Non c’è pace senza giustizia e senza verità. Bisogna avere il coraggio della verità, anche se costa, per ritrovare la nostra umanità.
Quali frutti lei spera potrà portare questa visita al Libano e alla regione?
Non lo so. Anche se il Papa vuole rimetterci al centro, dobbiamo essere noi a riprendere questo ruolo. Non dipende solo dal Papa, ma da come noi sapremo accogliere il suo messaggio. San Giovanni Paolo II ci ha lasciato un’esortazione apostolica post-sinodale, “Una speranza nuova per il Libano”, Benedetto XVI, l’altra esortazione apostolica “Ecclesia in Medio Oriente”, firmata proprio qui a Beirut, e poi Papa Francesco con la dichiarazione di Abu Dhabi, i suoi appelli e digiuni. Dovremo essere capaci di accogliere anche le parole di Papa Leone XIV e trarne frutto.
Avete pensato a dei doni da dare per il Papa?
All’incontro del clero offriremo una scultura che mostra un ponte con delle famiglie sopra, sostenuto da tre figure che richiamano la Santissima Trinità. Un simbolo per ribadire il nostro impegno a creare ponti in nome di Dio. Ci saranno anche icone della Madonna del Libano, donate dai giovani. In questi giorni che precedono l’arrivo del Papa ci stanno chiamando in tanti che vogliono offrire qualcosa al Papa, doni che sottolineano la bellezza del vivere insieme. Pianteremo un cedro, forse in centro della città.