FattiIn un incontro di qualche giorno fa tra oltre 500 allevatori e il neo commissario, Coldiretti ha presentato l’elenco delle cose da fare
Indennizzi ma soprattutto azioni decise per arrivare, finalmente, alla risoluzione del problema. Perché una delle filiere più importanti e ricche dell’agroalimentare nazionale non ce la fa davvero più. E’ la sintesi della situazione creata dal dilagare della Peste suina africana (Psa), una delle malattie più gravi dei suini che porta all’azzeramento di interi allevamenti.
Diciamolo subito (ancora una volta), la Psa non è assolutamente pericolosa per l’uomo, ma lo è, invece, per gli animali. Estremamente contagiosa – pochi giorni fa si contavano in tutta Italia 21 nuovi focolai registrati in un solo mese – diffusa dai cinghiali che stanno proliferando in molte aree dello Stivale, a questa malattia si può contrapporre solo una forte azione di prevenzione abbattendo i cinghiali e i suini malati. Agli allevatori, che spesso si vedono ridurre pressoché a zero e da un giorno all’altro le fonti di reddito, non rimangono che gli indennizzi e molta rabbia. Anche perché il problema della Psa non è certo recente.
E’ per questi motivi che, ormai, il comparto suinicolo è in perenne agitazione da una parte e, dall’altra, pone molte speranze nel nuovo Commissario nominato dal governo: Giovanni Filippini, che ha già dato buone prove in Sardegna e che ora deve confrontarsi con una situazione estremamente degradata a livello nazionale.
Ad oggi, i dati salienti sono due. I 21 nuovi focolai hanno colpito alcune delle aree produttive più importanti: le province di Novara, Milano, Pavia, Piacenza, Vercelli e Lodi. Filippini, appena nominato, ha quindi imposto misure, valide fino a metà settembre, che prevedono sorveglianza nelle aree di restrizione, divieto di spostamento degli animali, controllo dei trasporti e delle condizioni di sicurezza sanitaria, indagini epidemiologiche e obbligo di notifica dei nuovi focolai. Misure cosiddette emergenziali, perché gli allevatori chiedono ben altro.
In un incontro di qualche giorno fa tra oltre 500 allevatori e il neo commissario, Coldiretti ha presentato l’elenco delle cose da fare. “Contenimento della diffusione della Peste suina africana, disponibilità a sugli indennizzi agli allevamenti per la mancata produzione a causa della Psa e impegno per una importante azione di contenimento della popolazione dei cinghiali, principali vettori del virus”. Tre passi importanti e ritenuti ineludibili dagli allevatori. Filippini, stando a quanto riportato, sembra si sia detto d’accordo aggiungendo “che gli allevatori non vanno additati come responsabili” della situazione. Oltre agli abbattimenti, un punto cruciale per gli allevatori è certamente quello degli indennizzi, che non devono essere limitati alle imprese che hanno subito abbattimenti ma in generale estesi a tutte le aziende suinicole che saranno costrette a rimanere ferme e non potranno nemmeno ripopolare le loro stalle.
Ma non si tratta solo di questo. Dietro la situazione, infatti, gli allevatori temono l’innescarsi di operazioni speculative. Per questo Ettore Prandini, presidente dei coltivatori diretti non ha esitato a sottolineare come “ci dovrà poi essere un monitoraggio costante sui prezzi dei suini pagati agli allevatori per evitare che ci siano grandi speculazioni ed infine sarà fondamentale anche procedere a uno stop a mutui e ai contributi per le aziende colpite”.
In attesa degli eventi “risolutivi”, monta comunque la rabbia degli allevatori. “Con oltre 2 milioni di cinghiali che scorrazzano ancora su tutto il territorio nazionale e operazioni di contenimento che procedono a rilento, non ci può essere freno alla peste suina africana”, così poche settimane fa aveva dichiarato Cia-Agricoltori Italiani il cui presidente a Cristiano Fini aveva aggiunto: “Non si può più aspettare, l’allerta è massima per gli allevatori. La peste suina rischia davvero di mettere ko un settore chiave del Made in Italy agroalimentare, che genera oltre 13 miliardi tra produzione e industria”. Mentre Confagricoltura ancora prima aveva attirato l’attenzione “sui rischi che le esportazioni di prosciutti italiani stanno vivendo, in particolare sul mercato Usa”. A rincarare ancora di più la dose, i coltivatori diretti qualche giorno fa hanno ancora evidenziato come siano ormai 10 anni che il comparto viene questa situazione di “pericolo per un settore cruciale della nostra produzione agricola”.
