Le telefonate di papa Francesco a Gaza erano più di gesti simbolici: erano un argine alla violenza, oggi abbattuto. E la Chiesa, ora, sembra senza voce
Ci mancano quelle telefonate di papa Francesco alla minuscola parrocchia del Sacro Cuore di Gaza. Erano molto più che semplici gesti: una strategia comunicativa che superava la diplomazia, uno scudo umano che si è dissolto con la sua morte, lasciando quella piccola parrocchia senza protezione. Oggi vediamo i frutti amari di quella fine: Netanyahu, condannato per crimini contro l’umanità, accolto da Trump con onori, continua ad attaccare Libano, Iran, Siria, ogni volta dopo aver messo piede negli Stati Uniti. Non è fatalità. Si fatica a sentire la parola “genocidio”, anche se ormai abbiamo già superato i 65 mila morti. La morte di Bergoglio e l’elezione del nuovo papa hanno lasciato spazio all’offensiva su Gaza, e l’attacco alla Chiesa era solo questione di tempo. Le telefonate di Francesco erano l’ultimo ostacolo alla volontà di cancellare la presenza cristiana, che già nel 2004 appariva sgradita. Il bombardamento della parrocchia è solo l’ultimo tassello di un piano calcolato. Dal Vaticano giungono proteste formali e parole tiepide. Netanyahu, con mani ancora sporche di sangue, ha avuto l’arroganza di parlare di “incidente” al papa, promettendo indagini e, poche ore dopo, ordinando nuove stragi. Mentre Gaza brucia, Netanyahu gioca d’astuzia e invita il papa in Israele: un insulto alla ragione, l’ennesimo scacco matto. Il mondo, che un tempo si schierò contro Hitler, oggi applaude Netanyahu. I figli delle vittime di allora, sono i generali e i soldati delle stragi di oggi! Follia, che è realtà, con la differenza che ottantacinque anni fa, contro Hitler si schierò il mondo. Gesù ci chiedeva di leggere i segni dei tempi. Oggi è tardi. Quella Terra “Santa” è diventata campo di battaglia, governata da un “Caino moderno”, alleato di americani e russi. Francesco l’aveva previsto: questa è la terza guerra mondiale a pezzi. E nessuno lo ascoltava.