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Quella voce interiore… Il sentiero selvatico di Matteo Righetto
Matteo Righetto Il sentiero selvatico è il titolo dell'ultimo romanzo, racconto di riscatto di una bambina che da uno stigma sociale trae tutta la sua forza
MosaicoMatteo Righetto Il sentiero selvatico è il titolo dell'ultimo romanzo, racconto di riscatto di una bambina che da uno stigma sociale trae tutta la sua forza
Questa storia inizia a Larcionéi, nome antico, ladino, di un paesino sulle Dolomiti Bellunesi che nel 1913, alla vigilia della Prima guerra mondiale, godeva ancora di una comunità numerosa, nonostante le condizioni al limite della povertà, a cui la vita d’alta montagna sottoponeva gli abitanti. L’incipit del romanzo si apre sugli occhi della piccola comunità che guarda al cielo con sospetto: piove ormai da settimane e tutti in paese sono d’accordo sul fatto che quel bür temp sia iniziato subito dopo un altro strano segno: l’apparizione del Lum de le Auróne. Sin dalle prime battute del suo nuovo romanzo Il sentiero selvatico (Feltrinelli, pp. 240, euro 18) Matteo Righetto ci immette magistralmente in un sistema di valori e suoni antichi, entriamo in un mondo misterioso che precipita nell’angoscia quando, durante la messa dei morti, scompare Caterina Thaler, una bimba di dieci anni. Ricomparirà il giorno dopo senza ricordare nulla. In paese si convincono tutti «che ci sia lo zampino dei morti, di qualche strìa o del diàol. É molto bello, Matteo Righetto, questo tuo modo di raccontare la nascita di uno stigma sociale che trasforma una bambina innocente nell’incarnazione del male. Com’è nata questa storia? «Nasce anzitutto dalla fascinazione che ho sempre avuto nei confronti di questi stigmi sociali, pregiudizi maledetti, e di queste figure che sono diventate, loro malgrado, capro espiatorio e hanno sofferto, ingiustamente e senza alcuna colpa in molte società, anche nella nostra. Purtroppo a Tina qualcosa di misterioso è accaduto davvero e si trova addosso la condanna morale della comunità che inizia a emarginare lei e la sua famiglia». Poi arriva la Grande Guerra che tu racconti dal punto di vista di una minoranza, quella del popolo ladino. «Sono sempre stato molto interessato alla narrazione delle piccole storie all’interno della grande storia. In questo caso la Grande Guerra ha devastato i paesaggi delle popolazioni delle Dolomiti che, un tempo, erano ladine o tirolesi e che subito dopo la guerra si sono ritrovate italiane. Al centro di tutto ciò pongo la storia di questa piccola bambina che cresce, si fa donna, sempre però con gli occhi malevoli delle persone puntate contro di lei. Ma il suo desiderio di riscatto è così grande che addirittura farà leva su questo stigma per ascoltare la vera voce interiore che la richiama verso una rivoluzione straordinaria, che in fondo è quella che ci richiama tutti a intraprendere il sentiero selvatico della nostra vita». Che cosa intendi? «Il sentiero selvatico è un’opportunità, la possibilità di imboccare un cammino differente rispetto al mainstream che riduce la nostra identità entro un’omologazione incredibile. Tina scopre la grande, potente, irresistibile voce della natura, la natura della physis, di quel flusso di richiami ancestrali del tempo in cui l’uomo era tutt’uno con gli elementi naturali, con gli animali, con le piante. Ma a questo richiamo forse sanno rispondere solo i matti, i bambini, i santi e alcuni grandi visionari che mi hanno ispirato in questa storia». La lingua di questo romanzo è intessuta di parole antiche in cui risuona un mondo intero. Una scelta faticosa, immagino. Come hai lavorato? «Quando si lavora su più registri linguistici e più lingue o idiomi, è sempre faticoso ottenere un intreccio semantico che sia efficace, credibile e quanto mai autentico. Ho studiato molto e mi sono appoggiato a persone che parlano ladino e anche all’Istituto culturale ladino Cesa de Jan di Colle Santa Lucia, dove ho trovato molti libri che mi hanno insegnato tantissimo su questa cultura. Il fascino che ho per questa terra e la sua storia è incredibile: si tratta di una minoranza a torto dimenticata, portatrice di grandissimi patrimoni culturali che da molto tempo sto valorizzando nei miei romanzi.

Matteo Righetto presenta il suo libro il 30 maggio alle 20.45 a Villa Valmarana, Noventa Padovana.
Germana Urbani