Chiesa
Democratie era solo un bambino quando fu rapito e costretto a unirsi al Lord’s Resistance Army (Lra), gruppo armato ugandese attivo nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo. La sua abilità nel combattimento lo portò a diventare la guardia del corpo di Joseph Kony, il leader del Lra, responsabile di massacri, stupri e rapimenti di bambini soldato. Dopo undici anni di prigionia e violenza, Democratie è riuscito a fuggire, trovando rifugio presso l’ambasciata congolese in Uganda, dove è stato riconosciuto come vittima di tratta. Una volta libero, scelse di chiamarsi “Democratie” per ricordare ogni giorno il valore della libertà. Oggi ha 25 anni e vive a Dungu, nella regione dell’Haut-Uélé, dove frequenta il Centro Juvenat, un luogo di recupero per ex bambini-soldato gestito dalla Fondazione Agostiniani nel Mondo. L’organizzazione, nata su iniziativa dell’allora priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino – oggi Papa Leone XIV – coinvolge ogni anno circa 500 ragazzi e ragazze, aiutandoli a reinserirsi nella società.
Democratie vive a Dungu con la sorella, unica superstite della famiglia, e insieme lavorano nei campi. È diventato leader di un gruppo che sensibilizza i giovani contro i rischi dei gruppi armati, ha completato le scuole superiori e sogna di diventare medico, “per fare del bene dopo tanto male”. La sua storia sarà presto raccontata in un film in lavorazione. Il Centro Juvenat ospita 50 ragazzi con posti letto e accoglie anche ragazze – circa la metà dei partecipanti – che vivono presso famiglie locali e seguono corsi di formazione.
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Nessuno dei giovani seguiti dal centro è mai tornato nei gruppi armati,
segno dell’efficacia del programma di reinserimento basato su studio, lavoro e supporto psicologico.
Circa 30.000 bambini reclutati nei gruppi armati. Dungu, città di circa 147.000 abitanti immersa nelle foreste settentrionali del Congo, è una zona isolata e difficile da raggiungere. Qui si stima che circa 30.000 bambini siano stati reclutati dai gruppi armati, il 40% dei quali sono ragazze, spesso costrette a subire violenze e schiavitù sessuale. Per rispondere a questa emergenza, cinque anni fa è stato fondato il Centro Juvenat, con un programma specifico anche per le ex ragazze-soldato. Attualmente la struttura impiega 34 operatori e offre percorsi di recupero e formazione.
Obiettivo: coinvolgere 700 giovani ogni anno. La Conferenza episcopale italiana (Cei), attraverso il Servizio per gli interventi caritativi nei Paesi in via di sviluppo, ha sostenuto il progetto con un primo finanziamento di 328.379 euro, seguito da un ulteriore contributo di 415.333 euro per l’ampliamento della scuola. Maurizio Misitano, direttore esecutivo della Fondazione Agostiniani nel Mondo, spiega al Sir che il centro è entrato nella seconda fase del progetto, iniziata nel 2020: al termine, circa 700 giovani all’anno saranno coinvolti. “Non ci occupiamo direttamente di liberare i minori dai gruppi armati – chiarisce –: questo compito spettava all’esercito e alla missione Onu (Monusco), ora in fase di ritiro. Oggi molti ragazzi arrivano spontaneamente, sapendo che qui possono ricominciare”.
Il percorso di reinserimento prevede due fasi. Nella prima, i giovani ricevono assistenza psicologica e sociale in un ambiente protetto, con attività di gruppo e individuali per elaborare i traumi subiti. Nella seconda fase, vivono al centro ma frequentano la scuola o corsi professionali in falegnameria, sartoria, informatica, catering e agricoltura. Nella fattoria del centro si coltivano ortaggi, si allevano animali e si producono miele, conserve, farine e mattonelle di carbone ecologico per contrastare la deforestazione. Dal prossimo anno si avvierà anche una produzione di formaggi. Recentemente è stato introdotto un corso di videomaking, che consente ai ragazzi di raccontare la propria storia attraverso i video, e si prevede l’apertura di un piccolo cinema. Tutto questo è possibile grazie a un impianto fotovoltaico donato da un’azienda di Milano, poiché Dungu non dispone di rete elettrica.
Nonostante i progressi, le difficoltà restano. “I rapimenti di bambini continuano, anche se in misura minore”, racconta Misitano. Due anni fa, inoltre, la scuola costruita dal centro è stata incendiata, ma è già stata ricostruita e ampliata. Le scuole locali faticano ad accogliere gli ex bambini-soldato per paura della loro presunta aggressività, perciò la Fondazione ha creato una scuola propria, inclusiva e sicura. Il sostegno delle autorità locali e delle famiglie è fondamentale. Molte famiglie ospitano volontariamente ragazze rimaste sole. Per loro sono stati creati percorsi specifici e corsi di catering e sartoria.
Tutti i progetti degli agostiniani sono pensati per diventare sostenibili in pochi anni. Dopo cinque anni di attività, il bilancio è considerato molto positivo. “Presto il centro sarà riconosciuto dallo Stato come istituto di formazione professionale”, afferma Misitano, “e i ragazzi potranno ottenere diplomi validi per l’università”. Un accordo con un ateneo locale garantirà la prosecuzione degli studi per chi desidera continuare. La Fondazione sta inoltre progettando un ampliamento del Centro Juvenat per accogliere giovani con disabilità, alcuni dei quali saranno assistiti dagli stessi ex bambini soldato che si sono offerti volontari, un segno di profonda solidarietà e rinascita.
Attualmente circa l’87% dei ragazzi completa con successo il percorso. Chi abbandona lo fa per motivi economici.
Per questo la Fondazione sta trasformando i laboratori in cooperative di produzione: parte dei ricavi finanzierà la formazione, mentre un’altra parte sarà destinata come compenso simbolico ai giovani lavoratori. Il percorso psicologico, basato sul gruppo e sulle attività espressive come teatro e video, si è rivelato decisivo. Attraverso la condivisione delle esperienze, i ragazzi imparano a riconoscere il trauma e a trasformarlo in forza per costruire un futuro diverso. Molti sono riusciti a reintegrarsi nelle proprie famiglie; altri, invece, non hanno più nessuno o vengono respinti. “In quei casi lavoriamo anche con le comunità per superare lo stigma:
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far capire che questi giovani sono vittime, non carnefici, è una sfida difficile ma necessaria”.