Idee
Il suicidio è tra le prime cause di morte tra giovani e giovanissimi, preceduto soltanto dagli incidenti stradali e seguito dalle patologie oncologiche e dell’apparato respiratorio.
Si tratta di un argomento spesso tabù, la nostra purtroppo è una società negazionista rispetto al dolore e al lutto. Se ne parla negli articoli di cronaca, quando i casi sono eclatanti, come i più recenti rimbalzati sui media: il tragico volo dal quinto piano della studentessa diciassettenne di Latina dopo la seconda bocciatura e il suicidio del sedicenne statunitense, pianificato con il supporto di ChatGPT. Se ne parla, in realtà, senza approfondire adeguatamente le ragioni di questi gesti e lasciando che svaniscano rapidamente nell’oblio.
Non sempre, per fortuna, i giovani giungono a risoluzioni così estreme, tuttavia sono allarmanti i dati relativi alle richieste di aiuto e agli accessi di adolescenti e preadolescenti presso le strutture sanitarie per ideazioni suicidarie, gesti di autolesionismo e tentativi di suicidio. Secondo i numeri diffusi dall’Ospedale pediatrico Bambino Gesù nel 2022 (e tendenzialmente confermati nel 2024) le richieste di intervento al pronto soccorso per questi casi sarebbero in media una al giorno. A essere particolarmente critica è la soglia dei 15 anni e sono le ragazze ad apparire più esposte a questo fenomeno.
L’adolescenza è di fatto l’età degli estremismi emotivi e anche il periodo in cui l’idea della morte si affaccia con gravità e nitidezza nella mente dei ragazzi. Non è “anomalo” che i giovani si confrontino con maggiore frequenza con i pensieri di morte e che vivano sentimenti di angoscia e nello stesso tempo di attrazione nei confronti di questo evento, il problema reale è che a molti di essi mancano gli strumenti per affrontare questo passaggio inevitabile e naturale della vita. Nello stessa misura la nostra società mostra i nervi scoperti nella percezione e relativa gestione del dolore e delle frustrazioni legate all’umana esistenza.
In un mondo che celebra in maniera ossessiva le “good vibes” e lo “stare bene”, la sofferenza è implicitamente emarginata e connotata patologicamente, non viene considerata come occasione di crescita e maturazione, soprattutto manca la propensione alla condivisione. Chi soffre tende così a dissimulare ciò che prova, oppure antiteticamente a enfatizzare gli aspetti più torbidi del proprio malessere.
Questa incapacità sociale di comunicare e accogliere il dolore alimenta anche le pratiche di autolesionismo, che si declinano in modi diversi, ad esempio con il cutting (procurarsi tagli sul corpo), o infliggendosi morsi, bruciature e piccole escoriazioni sulla pelle, nonché strappandosi ciocche di capelli.
Di solito l’autolesionismo si manifesta per la prima volta in età compresa tra i 12 e i 15 anni e può essere associato anche a disturbi della condotta o psichiatrici, come alterazioni dell’umore e della personalità, anomalie del comportamento alimentare, uso di sostanze stupefacenti.
Queste manifestazioni autodistruttive avvengono, però, anche per istigazione. Non è raro, infatti, che le pratiche di autolesionismo siano condivise in alcuni gruppi, a volte come prove di coraggio, o semplicemente come atti che suggellano appartenenza.
A pesare sulle giovani generazioni è soprattutto il senso di solitudine diffuso e una reale carenza di relazioni “autentiche” con gli adulti e anche con i pari. Gli educatori risultano spesso figure deboli e non autorevoli, “adulti non significativi”, incapaci quindi di confortare e rassicurare gli adolescenti in balìa delle proprie tempeste emotive e sentimentali.
Sono queste peculiarità ad aver reso negli ultimi decenni il suicidio più un evento “sociale” che “privato”. Le circostanze che inducono a darsi la morte in età giovanile non si collocano soltanto nell’ambito delle esperienze individuali, ma sono spesso una risposta di fragilità allo spirito dei tempi.
Quando si mettono in connessione mancanza di punti di riferimento, solitudine, fragilità emotiva, mancanza di autostima, dolore esistenziale, stress e disagio, non di rado ci si può trovare a gravitare nell’orbita dei pensieri suicidari.
La solitudine è un tratto non solo giovanile, ma intergenerazionale e spesso è alimentata da una forte sfiducia nei confronti del futuro e da una pericolosa mancanza di prospettive.
Sentimenti “paradossali” in un mondo che viaggia a velocità supersonica e sovraespone ciascuno di noi a miliardi di stimoli differenti e promette grandi opportunità. Eppure le seduzioni del digitale, le immagini patinate, i passatempi reali e virtuali, non riescono a lenire realmente quel senso di inconsolabile vuoto che molti fra noi provano.