Chiesa
Ha 47 anni mons. Christian Carlassare ma è già stato vescovo in due Diocesi. Cresciuto a Piovene Rocchette, comboniano, quando è stato nominato, nel 2021, era il più giovane vescovo al mondo. Prima a Rumbek, poi, dal 3 luglio dello scorso anno, nella nuova Diocesi di Bentiu, della quale è il primo vescovo.
Al Meeting di Rimini mons. Carlassare ha raccontato la vita di una Chiesa giovane, povera ma piena di speranza e del suo desiderio di pace. Quando lo incontriamo, nel terrazzino dedicato alle interviste, nel via vai incrocia mons. Erik Varden, vescovo di Trondheim e presidente della Conferenza episcopale della Scandinavia. Scenari diversi, ma lo stesso anelito missionario in un mondo improvvisamente reso più piccolo dalla globalizzazione e dal digitale.
Mons. Christian, come sta la Chiesa che guida da un anno?
«È una Chiesa che aveva bisogno di tutto, perché era stata abbandonata. Per me è stato un grande dono essere mandato ai più poveri, a quanti avevano più bisogno di un pastore. È una Chiesa piena di speranza: i preti si stanno radunando, si sta formando un presbiterio, anche i catechisti. È un momento di grande respiro che va coltivato».
Che differenze ha trovato tra le due diocesi in cui ha servito?
«Rumbek era in una zona governativa, più sviluppata e con scuole e servizi. Bentiu è molto isolata e marginalizzata. Umanamente è stata una prova, ma la vicinanza e l’affetto della gente hanno fatto la loro parte».
Il tema del Meeting è “Nel deserto costruire con mattoni nuovi”. Qual è il deserto del Sud Sudan?
«Il deserto è la situazione di conflitto che non permette vita a queste Nazioni africane. Si fa il deserto quando si prendono le risorse naturali e la popolazione non ne ha nessun beneficio. Vivono ancor più povera quasi come se non esistesse».
E quali sono i mattoni nuovi?
«I mattoni sono le persone stesse, capaci di costruire una società più pacifica, se viene data loro l’opportunità».
Com’è la giornata di un vescovo che deve costruire una Diocesi quasi da zero?
«Ogni minuto non appartiene al vescovo ma alla gente a cui è stato mandato. C’è tempo per la pastorale, la catechesi, l’incontro delle comunità e anche per aprire passi nuovi. Le attività vanno dall’educazione e dalla scuola ai progetti di sviluppo che rendono la comunità più responsabile, in un contesto di grande miseria e insicurezza».
Quali sono state le priorità del primo anno?
«Visitare le comunità. Alcune parrocchie sono a duecento chilometri, altre raggiungibili solo a piedi o in canoa. Abbiamo celebrato l’assemblea diocesana, pianificato un primo piano pastorale e le nuove assegnazioni dei preti. Dal prossimo anno svilupperemo il Dipartimento dello sviluppo umano, con particolare attenzione alla scuola».
Che cosa si impara vivendo accanto a questo popolo?
«Si impara che Dio c’è ed è presente prima di noi. Si impara la solidarietà: la generosità della gente supera la nostra capacità di donarci, perché lo fa senza misura e con innocenza. È una capacità di darsi che insegna molto al nostro essere missionari».
C’è un incontro che l’ha segnata particolarmente?
«Ho rivisto una vedova che mi aveva accolto vent’anni fa, quando arrivai da giovane prete. Era rifugiata in Uganda, ma alla mia nomina ha fatto più di mille chilometri per esserci. Vederla dopo vent’anni è stata una grande gioia. Non solo noi vescovi e preti, ma tante persone hanno dato la vita perché ci sia Chiesa in una realtà così sofferta».
Ha detto che il Sud Sudan è un Paese dimenticato. Lo pensa ancora?
«Ci sono Paesi più dimenticati di altri, soprattutto dove non ci sono interessi internazionali forti. Ci sentiamo abbandonati. Uno sguardo verso tutte le realtà aiuterebbe a trovare soluzioni comuni, perché tutte le situazioni hanno radici simili di conflitto e povertà».
Di cosa ha più bisogno oggi il Sud Sudan?
«Del dono della pace. È il primo bisogno. Per fare pace c’è bisogno di costruttori di pace, sia dentro il Paese sia nell’intera comunità internazionale».
E il legame con la Diocesi di Padova?
«Io sono nato nella Chiesa di Padova. Ricevo il sostegno dalle mie comunità e dalla Diocesi, nella preghiera e nella condivisione, insieme alle altre missioni sorelle dove ci sono missionari padovani. Penso che si possano aprire cammini comuni, condivisione non solo di idee ma anche di energie e persone pronte a mettersi in gioco».
Il missionario comboniano trascorrerà l’intero mese di settembre in Italia. In questo tempo avrà una serie di incontri. Segnaliamo quello nella sua parrocchia di origine, Santo Stefano in Piovene Rocchette, martedì 2 settembre alle 20.30 in chiesa. Domenica 31 agosto presiede la messa alle 9 a Santa Caterina di Tretto, a Schio (Vi).