Idee
Riforma assistenza anziani. C’è ancora da fare
Le sessanta associazioni riunite nel Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza scrivono al Presidente del Consiglio per rimarcare ciò che manca nella nuova legge
Le sessanta associazioni riunite nel Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza scrivono al Presidente del Consiglio per rimarcare ciò che manca nella nuova legge
Una profonda revisione del decreto legislativo approvato dal Governo lo scorso 25 gennaio per attuare la Legge 33 del 2023 per la riforma dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti. La chiedono le 60 associazioni riunite nel Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, che hanno inviato una lettera aperta al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in cui manifestano la loro delusione – «ci aspettavamo di più» – e avanzano alcune precise richieste. Richieste che vorrebbero incidere sulle scelte che il decreto o i decreti attuativi potranno definire, prima ancora che sulle risorse da mettere a disposizione della riforma. Si chiede di condividere una visione sui servizi alle persone non autosufficienti e una riforma profondamente diversa da quella prospettata. Nella speranza che non sia troppo tardi e che l’impostazione data non sia determinante per le scelte future. I decreti attuativi, che vanno emanati entro un anno, devono infatti muoversi entro lo schema definito dalla legge delega per agli anziani, entrata in vigore il 31 marzo scorso dopo un percorso parlamentare iniziato con il Governo Draghi nell’ottobre 2022. «Il Patto ha seguito il cammino della Riforma sin dalle prime fasi, ne ha ottenuto l’introduzione nel Pnrr ma molto rimane non definito», segnalano i soci della coalizione sociale nata nel luglio 2021. Non si tratta in questa fase prioritariamente di risorse, scrivono, anche se è chiaro che le cifre da destinare all’assistenza delle persone non autosufficienti – che interessa dieci milioni di persone, i 3,8 milioni di anziani non autosufficienti, i loro familiari e chi si occupa professionalmente della loro cura – andranno aumentate. Tre le note dolenti rimarcate della lettera del Patto: la riforma dei servizi domiciliari, la riqualificazione delle strutture residenziali, la prestazione universale. «I servizi domiciliari esistenti, gestiti da Asl e Comuni, sono pensati per altre categorie di persone e non tengono conto di aspetti ineludibili come la durata dell’assistenza». Sul punto, lo schema di decreto non individua alcun criterio vincolante. Fumose anche le prime indicazioni in merito alla riqualificazione delle strutture residenziali: si auspica genericamente che diventino luoghi accoglienti senza indicare i criteri per l’accreditamento e i requisiti di sicurezza e qualità. Limitato anche l’impatto che potrà avere la nuova “prestazione universale” introdotta in forma sperimentale per il biennio 2025-2026. Per ottenerla sono richiesti un bisogno assistenziale gravissimo, un’età minima di ottant’anni, un reddito inferiore ai sei mila euro. «Viene introdotto il principio che si può fruire dell’assistenza solo se si è poveri mentre attraverso il welfare è necessario sostenere anche le classi medie», sottolinea ancora il Patto. «Chiediamo un vero cambio di passo nell’approccio alla non autosufficienza perché, a oggi, quello che vediamo è un ritocco a un modello vecchio – commenta Elisabetta Elio, presidente della commissione anziani dell’Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale (Uneba), e consigliere Uneba Veneto. Se è positivo che si parli di centri residenziali multiservizi, e in Veneto abbiamo già alcuni esempi, mancano le risorse perché possano davvero aprirsi al territorio diventando, oltre che luogo di residenzialità per le persone non autosufficienti con nuclei differenziati in base alla gravità, anche centri diurni, spazi ambulatoriali, sale da pranzo e cucine in grado di servire pasti a domicilio, palestre con fisioterapisti ed educatori». La consigliera Uneba definisce “fumo negli occhi” la misura universale così come viene delineata: «Si è parlato di raddoppio dell’indennità, ma i criteri per l’ammissione riducono a 25/30 mila le persone che ne potranno usufruire, quando gli anziani non autosufficienti sono un milione e mezzo. Questa misura non è universale e fra due anni saremo punto e a capo. La tensione verso la permanenza a casa dell’anziano chiede una rete di sostegno forte che affianchi la famiglia e la badante, che da sole non bastano». Uneba richiama poi la carenza di professionisti per il settore sociosanitario e rilancia l’idea dell’operatore sociosanitario con formazione complementare che potrebbe, dopo adeguata formazione e sotto la vigilanza di un infermiere professionale, migliorare l’assistenza agli anziani. Che la riforma abbia bisogno di aggiustamenti lo ha ammesso anche la vice ministra alle politiche sociali Maria Teresa Bellucci in un recente convegno nel corso del quale ha rivendicato il nuovo paradigma culturale sotteso alla legge ma ha detto che le risorse non basteranno e se ne stanno cercando di aggiuntive.