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Saint Martin. “Only Through Community” è uno stile che va condiviso
Il traguardo del 25° invita il Saint Martin, e chi ha condiviso la sua strada, a guardare alle prospettive future dell’organizzazione.
MosaicoIl traguardo del 25° invita il Saint Martin, e chi ha condiviso la sua strada, a guardare alle prospettive future dell’organizzazione.
Orizzonti amplificati quelli delineati dal fondatore, don Gabriele Pipinato, di recente nominato responsabile del Servizio interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli della Cei: «I giovani di Nyahururu – osserva – che ho visto di recente partecipare all’incontro internazionale in Rwanda, hanno una sensibilità diversa rispetto ai coetanei, hanno vissuto un cambiamento culturale inedito, perché l’incontro con le persone fragili cambia nel profondo. Oggi sto lavorando su tantissimi progetti in Brasile, Etiopia, Myanmar… che si propongono di fare opere a servizio dei poveri; ma non trovo altrettanto forte nei vescovi la preoccupazione di far crescere le comunità, di trasformarle grazie ai poveri, aiutando la Chiesa a riconoscere Gesù nei poveri. Questa è l’attenzione maturata nel Saint Martin che può essere condivisa con tutti». Tale prospettiva allargata è ben evidenziata anche da Pierino Martinelli e Luca Ramigni, rispettivamente direttore e responsabile dei progetti in Kenya della Fondazione Fontana: 25 anni sono il trascorrere di una generazione; il Saint Martin è chiamato ad affiancare ai preti padovani e ai volontari “fondatori”, che se ne vanno, una nuova generazione sostenuta dalla stessa spinta e dallo stesso entusiasmo delle origini.
Con la partenza dei padovani l’organizzazione è stata ed è ora chiamata a esprimere la propria capacità di leadership, dimostrando un’autonomia decisionale che sia anche consapevolezza della sostenibilità dei progetti, a cui comunque non verrà a mancare l’attenzione del territorio italiano, principale fonte di sostegno. Per quanto riguarda i progetti, il Saint Martin, che ha dedicato i primi decenni a individuare, capire e rispondere ai bisogni primari, è ora impegnato anche nella sensibilizzazione delle persone e delle comunità alla conoscenza dei loro diritti per farli valere in un Paese che cresce e ha emanato leggi e stanziato risorse per questi bisogni. Le comunità, inoltre, che sono state oggetto prioritario della sensibilizzazione su ambiti d’intervento ignorati e trascurati, hanno ora acquisito, sulla base di ciò che hanno imparato, la capacità di prendere l’iniziativa, di farsi promotrici di interventi. Al Saint Martin rimane il compito di accompagnare, aiutare a prendere decisioni corrette alla luce delle esperienze condivise e fornire gli strumenti di attuazione. Finora l’ambito di intervento dell’organizzazione è stato ristretto al Nyandarwa ma, come rilevava anche don Pipinato, la sua esperienza ha un valore che va condiviso. Obiettivo dei prossimi anni sarà quindi quello di entrare nelle reti dei servizi sociali e del volontariato nazionali e internazionali, per mettere in comune le esperienze acquisite, far conoscere il metodo e, alla luce dei frutti prodotti, metterlo a disposizione di altre realtà contigue. Infine, la solidità e la sicurezza acquisite consentono a dirigenti e volontari del Saint Martin di affrontare i contatti istituzionali, collaborando con progetti governativi senza temere compromessi e stravolgimenti. Un confronto che non significa rinunciare a chiedere correzioni di rotta o metodi più esigenti ed efficaci; con il governo ma anche con altre istituzioni come l’università, per individuare protocolli di collaborazione su percorsi assistenziali e didattici. Dal canto suo anche Fondazione Fontana – che affianca il Saint Martin assicurando la sostenibilità dei progetti attraverso grandi e piccoli donatori – intende evolvere il suo intervento puntando soprattutto sul coinvolgimento di piccoli finanziatori, persone che hanno visto nel Saint Martin valori di solidarietà che meritano il loro contributo, magari piccolo ma continuativo. (L. B.)