“San Luca evangelista, testimone della fede che unisce” è il titolo del congresso internazionale che si è tenuto 25 anni fa a Padova, dal 16 al 21 ottobre. «All’approssimarsi del Grande Giubileo del 2000, il vescovo di Padova Antonio Mattiazzo nominò una commissione di esperti per avviare una ricognizione scientifica delle reliquie di san Luca – si legge nel sito dell’abbazia di Santa Giustina, i cui monaci benedettini custodiscono le spoglie dell’evangelista – Il 17 settembre 1998 fu aperto il sarcofago e si trovò in una cassa di piombo sigillata uno scheletro umano in buono stato di conservazione. I risultati definitivi delle indagini sono stati presentati nel congresso internazionale dell’ottobre 2000».
Lo studio interdisciplinare sui resti di san Luca consegnò, in occasione del congresso – che ricordiamo in coincidenza della solennità di san Luca, che si celebra il 18 ottobre – i risultati di oltre 80 sedute di ricognizione. «Perché noi periti riteniamo che si tratti veramente delle ossa di san Luca evangelista? – scrisse in una relazione il prof. Vito Terribile Wiel Marin, ordinario di Anatomia patologica e direttore e presidente della commissione scientifica che ha effettuato la ricognizione, scomparso nel 2015 – Corrisponde il sesso; corrisponde l’età; corrisponde la nazionalità siriana, che, a pensar bene è il dato più stupefacente e rilevante per tutti; la datazione col metodo del radiocarbonio comprende tra i due estremi la data di morte di san Luca evangelista (secondo i dati dei laboratori di Tucson e Oxford, ndr); l’epigrafe bilingue contenuta nel sarcofago parla semplicemente di Luca, e non di san Luca o beato Luca, indicando con ciò l’antichità del testo originale in quanto i titoli di “beato” e di “santo” vennero attribuiti tardivamente; la conservazione perfetta di tutte le ossa, comprese le più piccole, dopo quasi due millenni, sta a indicare, secondo la mia esperienza, che esse erano considerate reliquie. Questa cura si trova infatti solo per alcuni santi considerati tali già alla loro morte; infine, fino a oggi, non abbiamo trovato nessun elemento scientifico contrario al fatto che lo scheletro conservato nell’abbazia di Santa Giustina sia quello di san Luca evangelista».
Alle ricognizioni, in qualità di verbalizzatore/notaio, partecipò l’attuale abate di Santa Giustina, padre Giulio Pagnoni. «Fu un lavoro immenso – ricorda – perché non terminò con il congresso internazionale; le ricognizioni, infatti, proseguirono fino a maggio 2001». Padre Pagnoni, poi, si ritrovò a essere coinvolto, sempre 25 anni fa, anche nella consegna di una reliquia di san Luca alla chiesa di Tebe, in Grecia, dove – secondo la tradizione – avrebbe trovato prima sepoltura l’evangelista e dove, nella chiesa a lui dedicata, era presente un sepolcro vuoto. Quest’anno, per «ripercorrere il gesto di dono ecumenico», mons. Antonio Mattiazzo si è recato a Tebe dal 17 al 20 settembre, accompagnato da padre Pagnoni.
Nel 1992, l’arcivescovo ortodosso di Tebe, Hieronymus, era venuto a Padova in pellegrinaggio sulla tomba dell’evangelista; il 18 ottobre di quell’anno inviava una lettera a mons. Mattiazzo con la richiesta di donare a Tebe «un frammento significativo» delle reliquie di san Luca. Sentiti i monaci dell’abbazia di Santa Giustina e la Santa Sede, mons. Mattiazzo, donò parte della quarta costola sinistra, presa all’altezza del cuore, del corpo del santo.
«Allora come oggi – sottolinea l’abate Pagnoni – siamo stati accolti con grande cordialità. Hieronymus, che ora è patriarca della Chiesa ortodossa greca, ci ha espresso come il ricordo di ciò che è avvenuto 25 anni fa sia ancora molto vivo. È stato interessante vedere alcune foto scattate allora e mai giunte a noi, così come un video della cerimonia di consegna disponibile su YouTube. Ho vissuto questo viaggio con emozione. Oserei dire che è stato caratterizzato da un particolare tono di intimità, di interiorità, di spiritualità».
La visita a Tebe per il 25° della consegna di una reliquia di san Luca è stata occasione, inoltre, per fare dono a Hieronymus e alla Chiesa ortodossa greca – da parte di mons. Mattiazzo – del suo ultimo volume: Una preziosa stagione ecumenica. Rapporti della Diocesi di Padova con l’Est europeo (1989-2015), Valore italiano editore.
La ricognizione del corpo di san Luca, le due ostensioni e il congresso internazionale «hanno caratterizzato, per volere di mons. Mattiazzo, il Grande Giubileo del 2000 nella Diocesi di Padova – sottolinea padre Pagnoni – Per noi monaci, che all’epoca abbiamo avuto il ruolo di fedeli collaboratori, è stata l’occasione per riprendere in mano la custodia secolare dell’evangelista e portarla a novità. Mentre prima l’arca era quasi “chiusa” in se stessa, da quel momento si è “aperta” ai pellegrinaggi, soprattutto dall’Oriente. Abbiamo vissuto una piccola conversione».
Ma… cosa dice oggi san Luca alla Chiesa e al mondo? «Prima di tutto – evidenzia l’abate Pagnoni – che, per mantenere la fedeltà al Signore Gesù, i suoi discepoli pregano insieme. C’è una comunità monastica che continua a riunirsi in preghiera attorno all’arca dell’evangelista e consente ogni giorno ai fedeli, almeno nel momento vespertino, di parteciparvi. San Luca – altro elemento – compie un’opera letteraria unitaria tra Vangelo e Atti degli apostoli; ha scritto dell’andare di Gesù a Gerusalemme e poi dell’andare dei discepoli nel mondo, partendo da Gerusalemme. La terza sottolineatura riguarda i patrocini di san Luca, in particolare verso i medici. Quando nel 1500 si è collocata l’arca nel transetto settentrionale della basilica, non s’immaginava che Padova, secoli dopo, avrebbe posto lì il cuore della sanità. Questo legame mi è saltato in evidenza durante l’anno del Covid, quando nel silenzio della città, dietro la basilica sfrecciavano le ambulanze, sfiorando l’arca dell’evangelista».