Fatti
Sanità pubblica. Ancora tagli
Il Documento di economia e finanza “inaccettabile” per le Regioni, spesa al meno 6,2 per cento. E in Veneto si protesta
FattiIl Documento di economia e finanza “inaccettabile” per le Regioni, spesa al meno 6,2 per cento. E in Veneto si protesta
La “copertura universale” scricchiola più sotto i tagli di palazzo Chigi che della pandemia. E anche i “livelli essenziali” si affievoliscono, spesso a vantaggio dei privati. Anche in Veneto… La protesta di piazza. Erano almeno duemila in corteo a Padova sabato 9 aprile alla manifestazione del Coordinamento Veneto sanità pubblica, cioè i comitati spontanei a difesa dei diritti di salute e cura. Con loro i consiglieri di minoranza che in Regione “marcano” l’assessore Manuela Lanzarin a partire dalla mancanza di medici di base e contro la progressiva privatizzazione della sanità. Fanno eco Paolo Righetti (Cgil Veneto) e Mario Ragno (Uil Veneto): «Rafforzare il sistema pubblico è la condizione indispensabile per garantire l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza e dei Livelli essenziali delle prestazioni, l’accesso universale ai servizi soprattutto ai territori più periferici e alle persone anziane, non autosufficienti, disabili, con maggiori fragilità». Per altro, il pm Silvia Golin ha appena chiuso l’inchiesta sulla gara d’appalto (110 milioni) per la ristorazione ospedaliera.
Riguarda Serenissima spa, ma anche l’ex direttore della sanità veneta Domenico Mantoan e funzionari dell’Azienda zero. Così Arianna Spessotto, deputata di Alternativa, allarga l’orizzonte: «A Venezia, Rovigo e Vicenza c’è un’altra indagine per il fallimento di compagnie di assicurazioni rumene che avevano stipulato polizze per le Ulss di tutto il Veneto. Per non parlare di quella su Mantoan e il capo centro dell’Aisi o del fatto che Azienda zero offre incarichi da centinaia di migliaia di euro senza aver mai indetto una gara». E i conti che non tornano. Il Documento di economia e finanza 2022 lascia pochi dubbi: nel triennio 2023-2025 la spesa sanitaria subisce un taglio medio annuo dello 0,6 per cento. Ma alla luce del rapporto fra Pil e spesa sanitaria finisce per assestarsi al 6,2 per cento. Il governo Draghi ha presentato al Parlamento la contabilità chiusa dell’anno scorso: 127,8 miliardi di euro (più 4,2 per cento nel confronto con il 2020) il totale delle uscite a favore del servizio sanitario nazionale. In dettaglio, il bilancio indica 7,3 miliardi di assistenza farmaceutica convenzionata e 7,1 miliardi di assistenza medico-generica (con un significativo meno 3,3 per cento). Spicca il passaggio a pagina 44: «La spesa per le altre prestazioni sociali in natura acquistate da produttori market è pari a 27,3 miliardi, in aumento del 3,5 per cento. Si può ricondurre ai vari interventi normativi per fronteggiare l’epidemia Covid-19. In particolare, per recuperare le prestazioni sanitarie non erogate nel 2020, si è data possibilità agli operatori privati di fornire assistenza sanitaria perfino oltre gli accordi previsti per il 2021. In aggiunta, le strutture accreditate hanno potuto vedersi riconoscere fino al 90 per cento del budget 2021 nel caso di sospensione delle attività ordinarie o per ristorare i costi fissi comunque sostenuti».
E nel 2022 è programmato un tetto di 131 miliardi e 710 milioni. In uno scenario che risulta, di fatto, insopportabile per le Regioni. L’allarme è risuonato il 12 aprile nell’audizione con le Commissioni bilancio di Camera e Senato. L’assessore lombardo Davide Caparini, a nome della Conferenza delle Regioni, a verbale: «Il Def prefigura una revisione della spesa corrente con risparmi crescenti nel tempo con conseguenti possibili tagli che le Regioni non sarebbero in grado di sopportare».
In Europa e da noi con il Covid. Il recente rapporto di Bruxelles certifica come nel 2020 nell’Unione europea sono stati spesi 1.073 miliardi di euro a tutela della salute. L’Italia si posiziona al nono posto tra i 27 Paesi, in base al rapporto con il Pil nazionale. L’Austria e la Repubblica Ceca hanno registrato il più elevato (entrambe 9,2 per cento), seguiti dalla Francia (9). Al contrario, Lettonia (4,8 per cento), Polonia e Irlanda (5,4) si dimostrano quelli in fondo alla classifica europea. Da parte sua, l’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari regionali ha contabilizzato i “costi emergenziali” del Covid nel 2021: sono 8,078 miliardi di euro, cioè 135,45 euro di costo medio pro capite. Agenas evidenzia nero su bianco: «Le risorse nazionali stanziate per l’anno 2021 per fronteggiare la pandemia e per sostenere la campagna vaccinale sono risultate in sensibile riduzione: si è infatti registrato un decremento di 2,2 miliardi rispetto al 2020. E non è stato possibile – come è accaduto nel 2020 – l’utilizzo di alcune risorse straordinarie quali il ricorso ai Fondi europei (Fesr e Fse) e si è potuto contare solo in parte sui rimborsi dalla Struttura commissariale e dal DiPadova, 9 aprile – Manifestazione in favore della sanità pubblica. partimento della Protezione civile».