Chiesa | In dialogo con la Parola
Proverbi 8,22-31
Salmo 8
Romani 5,1-5
Giovanni 16,12-15
Non c’è bellezza che non ci appartenga
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
«Non è la bellezza a mancare – afferma Marcel Proust – ma occhi d’incanto, indispensabili a scoprirla»! «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8) gli ribatte immediatamente Gesù, insieme ai poeti di tutte le nazioni e ai bambini di tutte le età. Infatti, prega il salmo: «Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi di ricchezze. I tuoi solchi stillano abbondanza. Stillano i pascoli del deserto, le colline si cingono di esultanza» (Sal 64,10.12-13).
È, infatti, con la sapienza che Dio ha impastato tutto ciò che esiste. Lo dice lei stessa: «Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine» (Pr 8,22). E «sapienza» per la Bibbia non è l’enciclopedia del sapere e tanto meno la sagra della curiosità. È il sapore, il gusto, con cui ogni essere canta la felicità di esistere, il piacere di stare a questo mondo, il senso segreto del suo respiro. «Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra» (8,23). Non c’è nulla che non abbia addosso, dentro e intorno, questa densità, questo piacere: «Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua; prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata, quando ancora non aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo» (8,24-26). Che bello saperlo! Ci cambia la vita!
«Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita – canta il salmo responsoriale – la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,4-5). Averne coscienza dà le vertigini alla testa e fa tremare il cuore. Peccato non riuscire a respirare tanta bellezza a pieni polmoni, non arrivare mai a inebriarsi di questo «vino di vertigine» (Is 51,22).
Impossibile dimenticare la pagina della Bibbia, in cui è descritto il modo, con cui Dio ha riempito di sapienza tutto ciò che creava. «Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso, quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell’abisso, quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini» (Pr 8,27-29).
Non c’è altezza o abisso che non riflettano bellezza, e insieme non c’è frammento di terra o sentimento di cuore che nella sua quotidianità non ne palesi la trasparenza. E non come comandamento, ma come «gioco e delizia», che lega insieme ogni oggetto creato e il suo creatore. Infatti, «quando Dio disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo» (8,29-31). Per forza, quindi, alla fine di ogni giornata Dio, impresario di questo cantiere immenso, al posto della fatica, sente la meraviglia.
E così venne «sera e poi mattina» e tutto era «bello». Addirittura «molto bello», quando si trattò di fare l’uomo! «Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto
hai posto sotto i suoi piedi. Tutte le greggi e gli armenti e anche le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, ogni essere che percorre le vie dei mari» (8,6-9).
C’è da impazzire davanti a tanta «gloria e onore». Ma noi come gli abbiamo risposto? Voltandogli le spalle, subito, con Adamo ed Eva! Fu un massacro totale! Quella volta volevamo giocarlo d’astuzia. E, invece, venne giù il mondo e noi in un attimo sprofondammo nella vergogna, nudi anche di noi stessi. Ma anche allora non fu la fine, perché come nessuna nube, per quanto minacciosa, può spegnere il sole, così nessun nostro peccato può oscurare la bellezza di Dio!
Lo dobbiamo al «più bello dei figli dell’uomo». Lo chiama così il salmo, Gesù! Egli con il suo sacrificio è riuscito a ricucire i nostri strappi così bene da riempire di bellezza anche il nostro peccato, farne una sorgente rinnovata di grazia. E così «per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo noi siamo in pace con Dio» (Rm 5,1-2) ci conferma Paolo. Addirittura, possiamo «vantarci» non solo della «speranza della gloria di Dio che ci è ritornata, ma anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata
e la virtù provata la speranza. E la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (5,3-5).
Stupendo! L’infinita sapienza di Dio torna a trasudare nella nostra fragilità, ubriacandoci di nostalgia con i suoi mille riflessi di bellezza, sparsi ovunque. Sono veramente «beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8)! Ovunque e sempre!
frate Silenzio
Sorella allodola
Peccato non riuscire a rifrangere ovunque la bellezza che ovunque cogliamo.
