La recente notizia di un adolescente ricoverato al pronto soccorso per una overdose di cellulare ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica un fenomeno tanto diffuso quanto apparentemente inarrestabile. Dicono le statistiche che un ragazzo in media sta davanti al suo cellulare sei ore al giorno, con punte di otto/dieci, soprattutto tra i giovanissimi.
Davanti a questo grave problema si registrano, nell’ordine, una doverosa preoccupazione condivisa, una sostanziale incapacità di risolvere il problema e la conseguente invocazione di un divieto drastico. La stessa sequenza si ripete a casa, dove i genitori non riescono a proporre e imporre tempi e luoghi offline, e perfino a scuola. La richiesta dei ragazzi appare asfissiante e ingestibile. Anche chi tenta qualche resistenza è prima o poi costretto a recedere dalle sue buone intenzioni.
Davanti a questo obiettivo fenomeno preoccupante, credo che il semplice divieto sia tanto facile da proclamare, quanto difficile da imporre, e soprattutto del tutto inutile alla crescita dei ragazzi.
Ci è chiesto piuttosto di riguadagnare un sano approccio educativo, che aiuti i ragazzi a maturare un rapporto positivo con la tecnologia in cui sono nati e che offre loro una quantità infinita di stimoli, contatti, conoscenze e provocazioni intense.
Un ruolo certamente decisivo è quello dei genitori e dell’ambiente familiare. Il tema è abbastanza articolato e ricco di proposte e quindi merita un prossimo articolo specificatamente dedicato. Qui invece mi vorrei soffermare sull’ambito scolastico.
È fuori di dubbio che durante le ore di scuola e di attività didattica non si possa utilizzare un cellulare per distrarsi e fare altro; per questo motivo comprendo e sono d’accordo con le scuole che ritirano in alcuni momenti i cellulari. Ma perché vietarne l’utilizzo sempre, anche per attività didattiche e educative, e quindi dentro uno strutturato protocollo di regole e tempi?
Una scuola che, di principio, decide di non insegnare ai più giovani ad utilizzare in modo sano, proficuo ed efficace uno strumento tanto potente non rinuncia di fatto al suo ruolo di aiutare i ragazzi a crescere e ad abitare questo mondo tecnologico in modo positivo, veramente umano? Lasciare lo smartphone confinato al tempo libero non significa ridurlo, ancor più di quello che già è, a strumento per sciocchezze se non per schifezze?
E se insegnassimo ai ragazzi a usarlo per ricercare informazioni utili, costruire contatti positivi, condividere idee e pensieri? E se, invece di demonizzarlo a prescindere, iniziassimo a offrire un sano approccio critico che impara a distinguere e a scegliere per il bene? E se insegnassimo loro a scoprire che c’è un tempo per usarlo e uno per spegnerlo, anche a scuola?
Non ho dubbi che l’avvento del digitale e l’irruzione dei sistemi di intelligenza artificiale nella vita dei ragazzi avrà un impatto micidiale anche sui sistemi didattici e l’intero mondo della scuola. Grande è la fatica che attende il corpo docente e tutto il mondo scolastico. Per questo esso va sostenuto con idee coraggiose, strumenti adeguati, illuminate sperimentazione realistiche.
Esattamente il contrario di proibizioni universali e di inviti alla riscoperta di carta e penna. Più che risolvere problemi, queste indicazioni mostrano una preoccupante mancanza di idee.